Simone Pellegrini _ Florilegi

Marco Filippa dialoga con  Simone Pellegrini 

Parlando della tua opera, in occasione della mostra CMYK (la seconda edizione dei Linguaggi del Mediterraneo) all’En Plein Air di Pinerolo nel 2008 scrissi: … 
Opera intrisa di ritualità, supportata da un pensiero antropologico (culturale soprattutto) con connotazioni psicologiche che non si accontenta di soluzioni affrettate, ma ricerca e rintraccia, nel linguaggio primitivo, l’essenziale impregnandosi di noir matière e d’una fisiologia della traccia che ne dice la fragranza organica, impregnata “di sudore, di sperma, di sangue”… l’artista imprime le figure con pochi colori: nero, rosso, di fuoco o di sangue; tracciando figure, di-segnandole, come fissasse insieme il significato e il significante … le sue carte sono intrise di sostanze pre-cromatiche, accettano un grado zero del linguaggio pittorico, interessate come sono ad una narrazione non lineare, addizionale per certi versi, guidata da un’azione (quasi) sciamanica… 
Non si tratta propriamente di una domanda Simone ma di un incipit. Lascio a te il possibile sviluppo. 
(Marco Filippa)
Vero che tutto nasce dalla carne. Sia essa l'innata.
Dalla carne e dalla sua declinazione, parcellizzazione, dalla proliferazione dei suoi costituenti si possa  poi giungere ad estasiarla perché possa praticare ogni nuova forma come un'assenza pregna di significato.
Possa in questi nuovi avamposti formali trovare il suo tradimento nell'ampliamento sensoriale, nello sfinimento del desiderio, rapprendersi in nuovi florilegi.
Che essa giunga a fronteggiarsi in un disconoscimento.
I Quaderni di Simone Weil.
La luce, voleva nutrirsi di luce.
Recentemente Didi-Huberman trovava nel Rinascimento fioriture improvvise, astra emergenti in seno alla disposizione dei monstra. E' questo il duopolio che oggi si impone all'interno della mia opera e quegli astra oltre ad esser 
se stessi eppure mutevoli, pur non dimenticando da quale luogo procedono, si aprono, decadono, si diffondono o contraggono...respirano, colano nel cuore del rappresentato. Questi inconnu sono trappole di luce che si incidono nel 
futuro dell'opera, sono provocazioni in un deserto di agiti.
Spodestati dalle proprie azioni, trafitti, non più aggettivabili  sono questi rappresentanti che sono costretti alle loro estimità. Nessuna legge ha potuto affermarli definitivamente ed essi eternano la fuga.
Qui si è insinuata quella supervenienza che estasia ogni finitudine, la rende ulteriore per quel suo disconoscere ogni "condizione al contorno".
Un cosmo nasce da quell'anelito elementare che ha reso la terra al cielo per via dell'uomo.
Mirandoliano.
Michaux, le correnti della dimenticanza e quel  risalire al futuro remoto.
Anche dovremmo ricordare le "Istruzioni agli uomini di desiderio" tenutesi a Lione nel XVIII sec.
E' il destino dell'uomo. Egli non riesce neppure ad essere il lontano in assenza di prove. Sempre traccia, sempre getta il segno, la parola oltre se stesso e compromette la propria innocenza. Se il lancio è breve egli si 
storicizza, se più muscolare egli si eterna.
Lasciare la più istoriata delle costruzioni nel deserto, disabitarla.
Questo non è niente. (Simone Pellegrini)
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