Charles
Jean Paul
Smettila
di camminarmi addosso di Charles Jean Paul
inaugurazione sabato 26 febbraio 2011 ore 17,30
Charles Jean Paul – Dietrologia dei segnali abrasi La ricerca spasmodica dell’uomo verso il suo simile, inteso come coadiutore nella risposta mancata, è ormai ridotta ai minimi termini, troppi i segnali convergenti e divergenti, troppe le idiosincrasie personali che travalicano, subissano l’altrui istanza, in una rincorsa al miraggio che sia, soprattutto, soltanto miraggio. E’ la moderna iconografia dell’indistinto, che fa chiudere l’universo espressivo dell’individuo nella ridondanza degli stili, moltiplicazione degli emotional rescue per una emergenza sempre più ardua anche nel solo riconoscerla. Charles Jean Paul agita ancora animosamente la lanterna di Diogene per cercare in ogni sua virgola espressiva il segno di quell’uomo confuso più che scomparso. Le sue figure antropomorfe, ma che è dire il suo astratto contemporaneo, implodono per la varietà dei richiami interni, sortite verso l’estrema ricomposizione dell’umana aspirazione a comprendere ed essere compresi. Le forme si accavallano nel disperato tentativo di evidenziare le stratificazioni, che come cerchi concentrici di un albero o curve di isoconcrezione nelle rocce, vorrebbero testimoniare un percorso, una scelta, una direzione anche e soprattutto quando questa è restata miseramente disattesa. Le sommarie pennellate a larga tesa, mirate a raccogliere in qualche modo il contorno, non fanno altro che scucire la prospettiva e ricondurre la memoria al suo attimo precedente, una anteposizione del futuro passato, una mimica triste del tempo che non si riesce a fermare, inteso questo nobile sforzo come tentativo di comunicare l’ansia stessa dei secoli, in articulo mortis. Le pose sono asfittiche, deformate, claudicanti per interposto desiderio di assistere all’ombra indelebile della Bellezza impressa al suo occhio olimpico. Il tema trattato da Charles, ovvero la sfida a dimensionare il nero come auspicata profondità delle ombre, in modo tale da arginare la fluttuanza iconografica dei miseri resti, lo conduce a lavorare sullo spazio come ambientazione ante-litteram, per decodificare la fretta da obitorio che ha confuso alluci e talloncini. E’ sempre vigile, infatti, la luce riflessa di spot fuori uso e fuori scena, per dare una dinamica che sia solo ottica al proscenio dei falsi pentimenti, quelli che ancora fanno pensare a volte al corpo umano come un contenitore di funzioni e sentimenti. E invece è bersaglio, nell’opera di Charles Jean Paul, sempre, anche quando la delocalizzazione dell’informale parrebbe distogliere l’arco cromatico in una serie di generose performances. In Charles Jean Paul è impossibile seguire oltre il canovaccio delle opportune deduzioni, siano esse scenografiche o teoretiche, e diventa perfino sanamente inaffrontabile il gaudium visivo del mulinare dei simboli in una riappacificazione estetica, pur distintamente presente, perché lo sguardo è sempre rivolto altrove, ai documenti, al passing scaduto, al check-in rinviato sempre ad un attimo fa, dell’eterna partenza di uomo verso ciò che qualcuno gli ha detto, un giorno, essere la sua finalità cosmica. Connotati lisi, invalidati, ricusati dallo scanner. Sergio Gabriele |
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album "vivvo tra i fantasmi" | ||||
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