Marina Pepino 

vive e lavora tra Torino e Cuneo

C’è qualcosa, nelle Opere di Marina, che rimanda al lavoro e, quindi, all’energia; 
e sappiamo bene che rapporti intercorrano tra i due concetti. Marina è una scultrice : 
parte dalle grandi masse che formano i corpi, le sonda come morbidezza, come capacità di 
essere “presenti” all’ambiente e al contempo appartenere al passato. 
Il lavoro, dalle terre(cotte), si sposta direttamente in un prodotto della terra: 
il gorin (vimine). 
Un elemento minimale di natura (assemblato secondo gli insegnamenti di una pratica artigianale 
ormai scomparsa) diviene diaframma spaziale o corpo-albero che disegna se stesso e perciò si 
mostra nella sua varietà di segno ovvero nelle sue verità. 

C’è qualcosa, nei lavori di Marina, di primitivo, di fuori dal tempo, che rende il 
suo fare parte di una felice-alterità rispetto agli eventi delle “scene contemporanee” dell’arte. 
C’è la sapienza contadina dell’essere parte della natura e degli eventi ma c’è anche la 
consapevolezza del proprio tempo, della propria socialità che non va confusa col cileccare 
mediatico o sociologico ma ricercata nel suo modo di inter-agire pensando l’artista come un 
intermediario dell’anima che coltiva la comunicazione come ruolo prioritario 

C’è qualcosa, nei lavori di Marina, di pensato come azione partecipata, privata 
dell’esclusivita’ personalistica… sculture che sono in realtà vasi comunicanti tra i visitatori… 
interfacce naturali rese culturali dall’agire dell’artista e di quelli che hanno partecipato 
alla realizzazione dell’opera accettando di con-dividere il suo progetto. 

C’è qualcosa, nei lavori di Marina, che arriva dalla natura per essere guardato 
perché è stato visto, raccolto, portato ad altro viaggio, a nuova vita… iniettato di linfa 
culturale, si erge davanti a noi nella sua cruda immagine totemica.
nei lavori di Marina c’è qualcosa che appartiene al suo tempo ed è presente al 
nostro, come se fosse sempre esistito e mai c’è ne fossimo accorti, come se il tempo non 
esistesse e nel giardino dell’amore ci conducesse lieve al presente per renderci vivi… 
presenti… partecipi dell’avventura della vita.

Marco Filippa

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