SENZA TITOLO - Libro
d'Artista
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Nisbet, il tragico e la sua forma. |
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Andrea Nisbet descrive il destino come il tempo che
precede il verificarsi di un evento. Affascinato dai paesaggi stradali (1995) l'artista mostra situazioni non ancora segnate da accidenti tragici, che pure stanno per intervenire. In passato Nisbet ha dato immagine a ossari (1989-90), cabine in disuso (1991), fabbriche abbandonate (1992-93). Tratto comune di tali visioni è l'assenza di individui, eppure nulla di ciò che egli mostra sarebbe mai potuto esistere senza la volontà umana,senza cioè quella determinazione - intesa come destino - che, modificando l'universo, trasforma di conseguenza anche l'esistenza di quanti ritengono, invece, di agire in libertà. |
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La fabbrica, la cabina, l'autovettura, così come
la natura violata, sono dunque per Nisbet l'espressione di un racconto in cui il vero protagonista, l'individuo, non entra mai fisicamente in scena. Vi è una chiara frattura tra l'immagine del luogo abbandonato e quella dello scenario stradale: nella prima il destino si è già compiuto, nella seconda l'evento deve ancora consumarsi e nulla lascia prevedere il dopo. Nell'uno e nell'altro caso, tuttavia, il catalizzatore è sempre la necessità, sentita come contrapposizione alla presunta libertà di scelta dell'individuo. In un siffatto contesto la Storia è racconto del realizzarsi delle necessità e, conseguentemente agli esiti, espressione di sconfitta. Nel contempo, in virtù della precarietà derivante dalla necessità dell'incidente e dall'incapacità dell'individuo di preconoscere e variare il corso dell'evento - precarietà che sembra sfuggire agli stessi disegni del destino - la Storia è anche cronaca di un moto vitale. |
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Per introdurre l'attività di disegnatore di Nisbet ho ritenuto importante ripercorrere prima la sua azione di pittore. Infatti, anche i disegni raccolti in questo libro sono, al pari dei dipinti dell'artista, la narrazione di una realtà marchiata dal destino, di cui è evidenziato il peso sullo svolgersi degli eventi e sulla consequenzialità di ciò che è narrato. Vero soggetto del racconto di Nisbet è il disegno stesso in quanto pratica comune a tutti i tempi e a tutte le civiltà, una sorta di archetipo della necessità di esprimersi per immagini. Ecco perché in questo libro ogni disegno succede al precedente soltanto temporalmente e non per ciò che mostra: le figure, intimiste e criptiche, vogliono innanzi tutto comunicare come ciò che l'uomo fa è nella sua essenza. Emblematici per la comprensione della poetica di Nisbet sono in tal senso i disegni nei quali si fa riferimento al gioco degli scacchi: la scena è svuotata della presenza umana, eppure solo l'individuo potrà determinare lo svolgimento del gioco. Dunque, come le automobili, anche gli scacchi si muovono lungo binari predeterminati, si incontrano e fronteggiano nell'attesa che l'uno elimini l'altro. La dimensione ideologico-naturalista espressa visibilmente dall'artista nasconde nel contempo quella stessa coscienza alchemica del gioco degli scacchi presente nell'esperienza di Marcel Duchamp, che nel destino e nel caso come dimensione estetica credette fino ad affidare il suo messaggio - tanto criptico quanto magico - alle incrinature di un grande vetro. |
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Per Nisbet il mondo del vero incontra quello delle
verità poetiche nello stesso modo in cui la realtà sfocia nel sogno. L'artista non rinnega dimensioni surreali: in viaggio da Bosch a Magritte, attraverso il dramma esistenziale denunciato da Bacon e l'amore per una natura incontaminata dichiarato da Long, Nisbet approda ai nostri avendo in mente le scene del Crash portato sullo schermo da David Cronenberg. Al pari dei dipinti, che danno sovente l'impressione di essere fissati su un grande telone cinematografico, anche questi disegni richiamano immagini filmiche. Manifestano infatti la propria natura di ombre - i disegni delle mani ricordano inevitabilmente l'umore del teatro delle ombre giapponese - quasi fossero il riflesso di un corpo momentaneamente investito dai fasci luminosi di vetture virtuali che, come fantasmi, raccontano non più la storia del pre-incidente, quanto quella di un dopo fatto di congelante silenzio. Demetrio Paparoni |
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