SENZA TITOLO - Libro d'Artista
Dal 18 Aprile - 20 Maggio 1998
EN PLEIN AIR Arte Contemporanea

Nisbet, il tragico e la sua forma.

Andrea Nisbet descrive il destino come il tempo che precede il
verificarsi di un evento.
Affascinato dai paesaggi stradali (1995)
l'artista mostra situazioni non ancora segnate da accidenti tragici,
che pure stanno per intervenire.
In passato Nisbet ha dato immagine a ossari (1989-90), cabine in
disuso (1991), fabbriche abbandonate (1992-93).
Tratto comune di tali visioni è l'assenza di individui,
eppure nulla di ciò che egli mostra sarebbe mai potuto esistere
senza la volontà umana,senza cioè quella determinazione - intesa
come destino - che, modificando l'universo, trasforma di conseguenza
anche l'esistenza di quanti ritengono, invece, di agire in libertà.
La fabbrica, la cabina, l'autovettura, così come la natura
violata, sono dunque per Nisbet l'espressione di un racconto in cui il vero
protagonista, l'individuo, non entra mai fisicamente in scena.
Vi è una chiara frattura tra l'immagine del luogo abbandonato e
quella dello scenario stradale: nella prima il destino si è già
compiuto, nella seconda l'evento deve ancora consumarsi e nulla
lascia prevedere il dopo.

 Nell'uno e nell'altro caso, tuttavia,
il catalizzatore è sempre la necessità, sentita come contrapposizione
alla presunta libertà di scelta dell'individuo. In un siffatto
contesto la Storia è racconto del realizzarsi delle necessità e,
conseguentemente agli esiti, espressione di sconfitta.
Nel contempo, in virtù della precarietà derivante dalla necessità
dell'incidente e dall'incapacità dell'individuo di preconoscere e
variare il corso dell'evento - precarietà che sembra sfuggire agli
stessi disegni del destino - la Storia è anche cronaca di un moto vitale.
Per introdurre l'attività di disegnatore di Nisbet ho ritenuto
importante ripercorrere prima la sua azione di pittore.
Infatti, anche i disegni raccolti in questo libro sono, al pari
dei dipinti dell'artista, la narrazione di una realtà marchiata
dal destino, di cui è evidenziato il peso sullo svolgersi degli
eventi e sulla consequenzialità di ciò che è narrato.
Vero soggetto del racconto di Nisbet è il disegno stesso in quanto
pratica comune a tutti i tempi e a tutte le civiltà, una sorta di
archetipo della necessità di esprimersi per immagini.
Ecco perché in questo libro ogni disegno succede al precedente
soltanto temporalmente e non per ciò che mostra: le figure, intimiste
e criptiche, vogliono innanzi tutto comunicare come ciò che l'uomo fa
è nella sua essenza.
Emblematici per la comprensione della poetica di Nisbet sono in tal
senso i disegni nei quali si fa riferimento al gioco degli scacchi:
la scena è svuotata della presenza umana, eppure solo l'individuo potrà
determinare lo svolgimento del gioco.
Dunque, come le automobili, anche gli scacchi si muovono lungo binari
predeterminati, si incontrano e fronteggiano nell'attesa che l'uno
elimini l'altro.
La dimensione ideologico-naturalista espressa
visibilmente dall'artista nasconde nel contempo quella stessa coscienza
alchemica del gioco degli scacchi presente nell'esperienza di Marcel
Duchamp, che nel destino e nel caso come dimensione estetica credette
fino ad affidare il suo messaggio - tanto criptico quanto magico - alle
incrinature di un grande vetro.
Per Nisbet il mondo del vero incontra quello delle verità poetiche nello
stesso modo in cui la realtà sfocia nel sogno.
L'artista non rinnega dimensioni surreali:
in viaggio da Bosch a Magritte, attraverso il dramma esistenziale
denunciato da Bacon e l'amore per una natura incontaminata dichiarato
da Long, Nisbet approda ai nostri avendo in mente le scene del Crash
portato sullo schermo da David Cronenberg.
Al pari dei dipinti, che danno sovente l'impressione di essere fissati su
un grande telone cinematografico, anche questi disegni richiamano
immagini filmiche. Manifestano infatti la propria natura di ombre - i
disegni delle mani ricordano inevitabilmente l'umore del teatro delle
ombre giapponese - quasi fossero il riflesso di un corpo momentaneamente
investito dai fasci luminosi di vetture virtuali che, come fantasmi,
raccontano non più la storia del pre-incidente, quanto quella di un dopo
fatto di congelante silenzio.
Demetrio Paparoni
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