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"Le 100 Banalità" di Eleni Dori
Viva la banalità ovvero inno alle banalità.
Un filo di banalità o meglio di 100 a cui forse aggiungere altri zeri sarebbe cosa facile
e comprensibile, banalità parole vuote,
trasparenti (trasparenti quindi apparentemente senza contenuto) ma sento e avverto a fior
di pelle e di istinto sempre più che nella banalità si nasconde un gioco, il gioco della
mosca cieca, il gioco delle verità più furtive ed impensate, giri di attese e di
fraintendimenti, fili lunghi come ponti che ci legano e ci attorcigliano in pensieri e
sentimenti dapprima pallidi a divenire poi forti echi,cavernosi echi rimbalzanti a
sconquassare pianure e distese senza confini (che visione ..surreale).
E' dalla banalità che si arriva pian piano a colpire il bersaglio, nella lettura di ogni
singola sillaba, nel segno, nel font, nelle sinuosità
di ogni carattere si partoriscono idee, dettagli, profumi, suoni di
sentimenti che si legano e si avvinghiano come teste di Meduse ad altri pensieri, qui la
paura della banalità si spande e provoca e produce un risveglio dei nostri sensi.
Non c'è nulla di scontato nel dire un qualcosa che rivela la sua ovvia ma relativa
verità/banalità, qui casca l'asino, l'esprimersi
con sostantivi e modi di dire è un soccorso ci dà sicurezza, non conosciamo un'altra
forma un altro modo di dire ma da qui si parte si arriva alla propria individuale sapienza
da qui scorrono fiumi di pensieri e di immagini mentali che qui la nostra Eleni affida ad
un rigo ad una linea alle ombre e alle luci a profili appena accennati a vortici di neri e
grigi netti e precisi da cui esplodono forme classiche ataviche per poi confrontarsi con
messaggi da interpretare quasi dico solo quasi oscuri.
Qui l'artista si fa complice e ci parla di banalità, qui si avvicina al tutt'uno di noi
tutti banali ma semplici umani pieni di ardori e
di passioni anche brutali sotto un'apparenza di placide anime in cerca di finalità dentro
e fuori di noi.
Quanto è ricca la banalità, quanto ci supporta la banalità, quanta sicurezza ci dà la
banalità, sono appigli mediocri appigli, a volte ci salvano a volte ci permettono di
uscire indenni da certi confronti, quando poi in fondo l'occhio si scrolla, si dilata e si
sposta dietro all'interlocutore, al barista occasionale, al giornalaio e alla commessa del
quotidiano vivere, e avvampando ci sentiamo colpevoli di cadere in questo modo troppo
ovvio in una mare di banalità senza fondo.
Per assurdo è tutto banale, la vita, la famiglia, la natura, quando tutto si riduce
all'essenziale, quando tutto non ci attira e non ci colpisce più come la prima volta
quando un viso ci annoia e una lettura ci rende apatici e ci porta a sbadigliare un lungo
sbadigliare a svuotare i polmoni in un soffio liberatorio fino a lasciarci gli alveoli
polmonari in apnea vicino al soffocamento, seduti o in piedi in un grande magazzino o
davanti ad un tramonto sempre bello e troppo bello, sempre uguale e mai furioso qui la
banalità accappona e brucia la pelle e scatti in piedi con un'impellente vibrante
esigenza di prendere in mano la situazione al piccolo grande caos in cui non vuoi
soccombere ed allora ED da un punto arriva ad un fiume di punti ravvicinati, volteggianti
sinuosi con doppi significati e ci sommerge dei suoi pensieri delle sue immagini di
denuncia pallida ma significativa denuncia appesa ad un muro una accanto all'altra quasi a
indicare che ne siamo pieni sommersi da ogni fronte; solo si salva il sogno, il sogno che
per un quasi assurdo preconcetto è irreale, forse è la cosa più reale che possediamo,
il sogno rappresenta l'unica verità di ognuno dove non si può barare dove l'essere si
esprime e così che Eleni Dori ci porta nel suo sogno, incubo, usando il messaggio della
banalità.
Com'è bello allora farci invadere da queste banalità......
Uscire coscienti ed entrare in un sogno il suo come il nostro i nostri sogni la cui
lettura è personale ma gli archetipi che ci accompagnano sono identici, arriviamo a
credere e pensare alle stesse cose allo stesso modo, ma siamo unici, unici monadi pallidi
monadi di un grande universo che non sempre ci allieta ma ci affama ci opprime perché
vorremmo possederlo tenerlo nelle pupille nelle mani per acquisire la coscienza la
sensazione fisica di esserci, ma non sempre ci è dato sapere e conoscere la piena realtà
di vivere.Potrei dire mille altre cose, potrei dilungarmi nei vortici dei pensieri a
catena uno sull'altro come pire funerarie o come torri
di Babele confusione, fino alla disidratazione dei pensieri si arriva mai alla fine
assetati affamati lungo un deserto senza fine tra le dune di banalità ci aggiriamo a
cercare una fonte un elisir di saggezza che ci porti alla pace con noi stessi, perché è
la pace col nostro essere che cerchiamo come l'acqua ed il pane come alimento di vita, lo
sdoppiamento della vita ci confonde e a volte è utile uscirne con una banalità
ebbene,essì, è la banalità che ci salva. Salvo dirla e poi riflettere cos'ho detto, in
che parodia sono in che barzelletta sono finita?
Che acquazzone di banalità, lenti rivoli dapprima esili e miseri rii su rocce tortuose a
confondersi tra anfranti e pieghe della terra, poi impetuosi diluvi di gocce e flussi
freddi e glaciali piogge torrenziali di terre lontane monsoniche soggette alle diavolerie
della natura, così ci ritroviamo sommersi, ad affogare a volte persin lieti di questa
opportunità di cavalcare la vita, la quotidiana
esistenza senza capo né coda in cui spesso ci piace far convivere le
apparenti storie umane ingabbiate dagli schemi/schermi, status symbol, modernismo,
qualunquismo, e tutti gli ismo e parossismi di questa terra.Ma il sangue ribolle di un
rosso acceso, metaforico elemento della vita dentro un cuore altrettanto metaforico
giaciglio dell'amore e dei sentimenti, qualche volta si dimentica
che il pensiero forse senza una sede ben precisa può andare e venire incontrollato fuori
e dentro, in alto e in basso consapevole ed inconsapevole nutrice di feti canditi come
latte che si attaccano come pustole di morbillo o ventose laceranti, sulla pelle su
epidermidi sensibili ad ogni spillo.
Allora le banalità prendono le ruote, le scarpette di notti magiche con zucche e
principi, si riempiono di sensualità, assumono
l'aspetto di nicchie comode strette ma comode, accomodanti dove pare di
stare in un utero, liquido amniotico che ci culla nel suo umido umore. Grattuge su cui
fregare un tocco amaro di formaggio, scendono minuzze, scagliette di vita, qualcosa rimane
qualcosa si adagia e della banalità scopriamo il meglio, si salva la minuzza che ci cade
sopra gli
occhi sulle palpebre e tra le ciglia si risveglia come fuoco dentro una caverna buia, si
riscopre il proprio spazio della
luce e quello dell'ombra.Sagome di vasi, di bicchieri sinuosi, vibranti di sesso e di
trasgressione, con urgenti voglie di uscire di materializzarsi tra le mani, ad esplodere
nel cuore dentro l'anima nascosta come reliquie
esplosive bombe di carta che prorompono in tragici e splendidi colori
vermigli a liquefarsi su di uno schermo di un cinemotto di periferia.
La banalità come forza propulsore di vite nuove, dare immagine ad un sostantivo senza
senso, un disegno arabesco, linguaggio universale di comprensibile lettura dà sostanza e
forma alla cretineria universale tanto quanto è vecchio il mondo e l'uomo.
Che banalità ho scritto!?
Dico solo più questo cara Eleni, sopratutte e nonostante le banalità, come canta un
vecchio gitano..
"e la luna va ..caminando":
J.P.
PINEROLO, 23 APRILE 1999
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