Poesia, 12Kb Donne InuitMichaela Garbarino
Laureata in Filosofia presso l'Università di Torino con una tesi in Antropologia Culturale dal titolo
"Uomini, sciamani e animale nella cultura inuit"
Parte 1 Le donne inuit nel contesto tradizionale  Donna Inuit, 9Kb


Gli Inuit, sicuramente più noti comeEschimesi, 
sono gli abitanti di quelle terre a nord del mondo 
che rientrano nella generale definizione 
di 'Artico'. Il termine 'Eschimesi', che significa 'mangiatori
di carne cruda', v
eniva originariamente utilizzato, 
in sensodi spregiativo, dalle tribù indiane
algonchine del Nord America per designare le 
popolazioni residenti
nelle zone più settentrionali, presso le quali il 
consumo di carne cruda era,
effettivamente, abituale.Questa denominazione è 
stata adottata
dalla prima letteratura antropologica
europea e nordamericana ed è in seguito
entrata nell'uso comune.
In realtà, gli abitanti dell'Artico
definiscono se stessi 'Inuit', termine
che nella loro lingua significa 'uomini'.

Esso è infatti la forma plurale di inuk,
cioè 'uomo'.
Gli Inuit occupano un'area piuttosto
vasta, che comprende l'Alaska e il tratto
della Siberia che si affaccia sullo stretto
di Bering, il nord Canada e la Groenlandia.*
Se racchiudere il senso di una cultura
in poche definizioni sistematiche è
certamente un'impresa difficile, la
situazione si complica ulteriormente
per le culture che, come quella inuit,
hanno sperimentato trasformazioni spesso
traumatiche, derivanti dal contatto con
i bianchi e, in alcuni casi, da periodi
di colonizzazione.
È possibile tuttavia individuare alcuni
aspetti della vita e della cultura inuit
che potremmo definire 'tradizionali', in
quanto caratterizzati da abitudini e
attività destinate in seguito a mutare
in modo considerevole sotto l'influenza
sempre crescente dei bianchi.
Le caratteristiche dell'ambiente fanno
sì che la caccia rappresenti tradizionalmente
per gli Inuit l'attività di sussistenza
fondamentale.
La caccia si configura come un'attività
prettamente maschile, che costituisce il
fulcro dell'economia di questo popolo e
che al tempo stesso riveste un'enorme
importanza a livello sociale e simbolico.
Essere un buon cacciatore significa non
solo poter nutrire adeguatamente la propria
famiglia, ma anche godere del rispetto
degli altri membri della società e acquisire
prestigio all'interno del gruppo.
Il rilievo conferito alla caccia potrebbe
indurre a ritenere che la cultura inuit sia
portata tradizionalmente a sopravvalutare il
ruolo dell'uomo e delle sue attività e
parallelamente a porre in secondo piano
l'universo femminile.
In realtà, basta leggere le numerose
monografie su questo popolo per convincersi
del contrario.
La famiglia nucleare, che costituisce
l'unità di collaborazione primaria, si fonda
sulla divisione complementare del lavoro tra
il marito e la moglie. L'uomo è colui che si
occupa della caccia e degli spostamenti,
curando la manutenzione del kayak e della
slitta e provvedendo ai cani.
Tuttavia, i successi di un cacciatore sono
indissolubilmente legati all'attività e
all'abilità della propria moglie.
Sono infatti le donne che tradizionalmente
si occupano di lavorare le pelli per
produrre i capi di abbigliamento e le
calzature per tutta la famiglia, nonché
le tende e i rivestimenti per le imbarcazioni..
È facile comprendere come, per l'uomo che
va a caccia in un ambiente di tipo artico,
la qualità degli abiti che indossa e la
resistenza dei suoi stivali siano requisiti
essenziali per la sopravvivenza e per
il successo nel catturare le prede.
Ogni cacciatore riconosce esplicitamente
il contributo insostituibile fornito dalle
donne, non solo nella lavorazione delle
pelli e nella confezione dell'abbigliamento,
ma anche nella cura di esso.
Nessun uomo potrebbe sopravvivere nell'ambiente
artico senza quella complementarità di ruoli
e di funzioni che lo lega alla donna e che
fa della coppia l'unità minima, in assenza
della quale il sostentamento diviene impossibile.
Nella cultura tradizionale è compito
delle donne assicurare che gli stivali e gli
altri indumenti non perdano mai la loro morbidezza.
Le basse temperature tendono infatti a
screpolare e a irrigidire la pelle,
rischiando di rendere inutilizzabili gli abiti.
Le donne provvedono allora a masticare gli stivali
o gli altri indumenti, in modo che siano morbidi
e pronti per essere indossati facilmente
dall'uomo che va a caccia o dagli altri
membri della famiglia.
Le pelli vanno inoltre masticate prima di
essere lavorate e cucite, il che richiede un
impegno pressoché continuo e incessante *
La masticazione delle pelli costituisce
in epoca tradizionale una delle attività
maggiormente praticate dalle donne inuit,
tanto che in passato non era possibile
trovare una donna che non avesse la dentatura
completamente consumata già in età
relativamente giovane .
Le donne si dedicano inoltre alla pesca
nei pressi dell'accampamento e raccolgono
piante, bacche e uova di uccelli, spesso
aiutate dai bambini. Preparare i pasti e
procurare l'acqua e il combustile per
l'illuminazione e il riscaldamento
dell'abitazione rientrano nelle mansioni
femminili.
Oltre a tutto ciò, la donna è impegnata
naturalmente nella cura dei bambini, oggetto
di grande affetto e interesse presso gli Inuit.
Fino dai primi istanti di vita il neonato entra
in stretto contatto con la madre, che lo porta
con sé ovunque, trasportandolo nell'amauti,
tipica casacca in pelle di foca o caribù
provvista di una sacca sulla schiena .
Il tipo di rapporto che si instaura
tra madre e figli e più in generale tra
adulti e bambini è comunque piuttosto
differente rispetto a quello che caratterizza
il mondo occidentale. I bambini sono molto
amati e spesso coccolati, ma godono di una
notevole indipendenza fino dalla più tenera età.
Essi possono molto frequentemente decidere
in modo autonomo come agire e come occupare
il proprio tempo e dispongono anche di
una certa libertà nel trascorrere le giornate
o la notte presso parenti o amici.
Q
uesto tipo di modello educativo, che nella
nostra società verrebbe sicuramente associato
a disinteresse o mancanza di cure da parte
dei genitori, trova invece una spiegazione
nel fatto che gli Inuit riconoscono dignità
e autonomia al bambino anche quando esso
è piuttosto piccolo.
Rispettare le scelte di un bambino significa
secondo questo popolo attribuirgli dignità
e insegnargli a prendere decisioni fin
dall'inizio, in modo che egli sviluppi
una propria esperienza del mondo basata
sul rispetto reciproco e non sui rapporti
di forza.
I pochi cenni forniti fin qui dovrebbero
chiarire come la cultura tradizionale inuit
riconosca alla donna un ruolo e una funzione
insostituibili, che si esprimono nell'alto
grado di cooperazione presente tra i coniugi
all'interno dell'unità domestica.
Anche se i matrimoni avvengono solitamente
per decisione dell'uomo, una donna conserva
sempre la possibilità di abbandonare il
marito e di tornare nella propria famiglia,
qualora l'unione presenti problemi eccessivi
o incompatibilità non superabili.
Ciò che ricaviamo da questo primo sguardo
sulla cultura inuit nelle sue forme
tradizionali è dunque il ritratto di una
figura femminile ben definita e distinta
dall'uomo in quanto a funzioni e attività.
Questa distinzione non sembra tuttavia
tradursi in un sistema di rapporti sociali
che ponga la donna in una posizione di
inferiorità rispetto all'uomo o che le
riconosca minori diritti o minore autonomia.

Il profilo fin qui tratteggiato nasce
dall'analisi di un contesto culturale che
abbiamo definito 'tradizionale', ossia non
ancora eccessivamente influenzato dai contatti
con il mondo occidentale.
Se spostiamo la nostra attenzione sulla
situazione contemporanea, vediamo emergere
alcuni aspetti di un certo interesse, che
arricchiscono la prospettiva di indagine
sulla donna inuit e sulla sua identità.
Parte 2 Un caso contemporaneo: alcune riflessioni
 L'intensificazione dei rapporti con
il mondo occidentale ha determinato per
gli Inuit, come per molti altri gruppi
culturali, una serie di trasformazioni
dei modelli di vita tradizionali che,
per l'estrema rapidità con la quale si
sono verificati, hanno spesso avuto un
effetto traumatico su questa popolazione.
A partire dagli anni cinquanta, gli
organismi governativi europei e americani
cominciano ad esercitare una crescente
attività di intervento e di controllo
sui territori inuit, che si traduce in
un sempre maggiore coinvolgimento di
questi popoli nell'economia di mercato.
Gli insediamenti tradizionali vengono
in alcune zone sostituiti da villaggi
sorti in prossimità di basi militari o
zone commerciali controllate dai bianchi,
che si servono degli Inuit come di una
fonte di manodopera a basso costo.
Le nuove esigenze economiche e sociali,
in molti casi incompatibili con i valori
tradizionali, danno origine a tensioni e
a fratture che lacerano il tessuto
culturale, talora in modo drammatico.
Attualmente, un numero considerevole
di Inuit vive in centri urbani situati
in varie zone del Canada, dell'Alaska e
della Groenlandia.
Molti di essi sono impiegati nelle strutture
lavorative create dai bianchi, ma sono numerosi
i casi in cui queste minoranze vivono ai
margini della società, vittime di alcolismo
e disoccupazione.
Possiamo domandarci quale sia il
ruolo riservato in questi nuovi contesti
alle donne inuit e in che termini si sia
strutturato il loro rapporto con la 'modernità'.
Un caso interessante ci è fornito
dallo studio compiuto nel 1986 dall'
antropologa Nancy Fogel-Chance, la
quale ha analizzato l'esperienza di
un gruppo di donne Inupiaq (questo è
il nome degli Eschimesi che popolano
l'area nord, nord-ovest dell'Alaska)
che si erano trasferite dai loro
villaggi ad Anchorage, uno dei centri
più grandi e più moderni dell'Alaska.
Si tratta di una situazione che può
essere per certi aspetti esemplificativa,
in quanto mette in luce aspetti dell'identità
femminile inuit molto interessanti.
Le donne che costituivano il gruppo
oggetto di questo studio non erano in
condizioni particolarmente disagiate,
poiché molte di esse disponevano di
un'occupazione stabile o, pur essendo
impiegate saltuariamente, non avevano
grosse difficoltà economiche.
Ciò nonostante, la nuova vita intrapresa
mostrava numerosi elementi problematici.
Un aspetto che emerge con chiarezza è
la pressione che l'ambiente sociale
cittadino esercitava su queste donne
affinché esse si conformassero ai
modelli femminili tipici della cultura
euro-americana.
Uno dei mezzi attraverso i quali
una cultura affronta la diversità è
costituito dal tentativo di inserire
quest'ultima in paradigmi che
permettano di controllarla e, in un
certo senso, di neutralizzare il pericolo
che essa sempre, almeno potenzialmente,
rappresenta. 
Nell'organizzare l'integrazione delle
donne inuit nel contesto cittadino, i
servizi sociali e le autorità tentarono
in primo luogo di uniformare il comportamento
e le abitudini di queste 'native' a un
modo di 'essere donna' che si pretendeva
universale, ma che altro non era se non
il modello di femminilità proprio della
cultura euro-americana.Le modalità di essere donna e madre
codificate in ambito occidentale venivano
ritenute prerogative 'naturali' e quindi
imprescindibili dell'identità di ogni donna.
Molti di questi aspetti sono tuttavia
in netto contrasto con i principi che
regolano il comportamento della donna
inuit all'interno della società e nel
rapporto con i figli.
Abbiamo visto in precedenza come i
bambini rivestano una grande importanza
in questa cultura e come, pur essendo
oggetto di attenzione e rispetto, essi
godano di un'indipendenza che implica
forme di controllo non troppo rigido
da parte degli adulti. Questo tipo di rapporto fu all'origine
di molte delle difficoltà che le donne
Inupiaq di Anchorage dovettero affrontare.
Secondo il concetto di maternità occidentale
condiviso da chi gestiva i servizi sociali,
l'atteggiamento di queste donne era
espressione di mancanza di attenzione
e di trascuratezza nella cura dei bambini.
Il fatto che ad essi fosse permesso
trascorrere la notte da parenti o amici
secondo le proprie preferenze veniva
ritenuto sintomo di uno stato di abbandono,
che richiedeva un intervento esterno mirato
a correggere il comportamento di queste madri. 
Un approccio di questo genere non
teneva in alcun conto le modalità culturali
secondo le quali la relazione madre-figli
veniva organizzata presso gli Inuit e
mostrava di ignorare come la cura dei
bambini fosse alla base di una complessa
rete di rapporti sociali e di parentela.
Ai piccoli era permesso trattenersi anche
a lungo presso parenti o conoscenti,
perché questo contribuiva a rafforzare
i legami esistenti tra i vari gruppi.
La vita in città determinò dunque
una trasformazione, almeno parziale,
di alcuni aspetti della cultura tradizionale
e impose alle donne inuit di adattarsi,
del tutto o in parte, ai modelli proposti
dalla mentalità occidentale.
Ciò nonostante, lo studio condotto
ad Anchorage mostra come, a dispetto
delle forti pressioni esterne, le donne
inuit mantennero in vita molteplici
elementi della cultura tradizionale,
combinandoli con le esigenze emerse
dal nuovo contesto.
Il sistema di relazioni fondato sulla
condivisione e sull'aiuto reciproco
continuò a legare le donne tra loro,
per quanto l'organizzazione sociale e
spaziale della città rendesse più difficili
i contatti.
Anche le attività tradizionali non
furono abbandonate completamente, tanto
che l'arte di lavorare e cucire le pelli
costituisce ancora oggi un forte elemento
di identificazione culturale per le donne inuit .
Parte 3Riflessioni L'immagine che sembra emergere è
quella di un'identità femminile dinamica,
aperta, i cui margini sono in grado
di ridefinirsi per adattarsi ai nuovi contesti.
Se è vero che l'apertura verso l'esterno
costituisce un forte elemento di rischio
per la tradizione, è innegabile che essa
sia anche l'unica via possibile per una
continuità che permetta ad una cultura di
sopravvivere anche in condizioni di grande
precarietà.
In questo caso, la cultura inuit trova
nelle donne un punto di forza, attraverso
il quale la frattura tra passato e
presente non viene certo negata, ma
è accompagnata anche da una ricerca
di continuità e di adattamento incessante.
Il problema della sopravvivenza della
tradizione non andrebbe dunque posto
tanto in termini di 'autenticità', quanto
piuttosto di vitalità culturale, di
capacità di trasformazione e ridefinizione.
Possiamo allora affermare che le
donne inuit che oggi vivono nelle città e
vestono all'occidentale non sono per
questo 'meno inuit' delle donne che fino
a poco tempo fa percorrevano immense
distese di neve portando i loro bambini
dietro le spalle.
 
Prendendo spunto dal caso di Anchorage,
è possibile sviluppare alcune riflessioni
di carattere più generale sull'identità
della donna inuit.
Un primo aspetto che vale la pena di
mettere in rilievo è il fatto che, nel
processo di adattamento alla vita cittadina,
gli uomini inuit incontrano maggiori
difficoltà rispetto alle donne, poiché
essi, tradizionalmente impegnati nella
caccia, faticano a trovare elementi di
continuità all'interno del nuovo contesto.
La donne, attraverso il mantenimento
delle relazioni di aiuto reciproco, lo
scambio delle visite e anche delle
conoscenze tradizionali, riescono a
inserirsi in maniera meno traumatica
nel tessuto cittadino, dando vita a
modalità di affermazione culturale
che risentono certamente dell'influenza
del mondo occidentale e che tuttavia non
mancano di forza e originalità .
Ciò che si verifica è una sorta
di paradosso : le donne, che nei
processi di integrazione nelle città
sembrano subire in misura maggiore
degli uomini l'influenza dei modelli
culturali occidentali, sono anche
portatrici di valori tradizionali
che si integrano con la modernità e
che costituiscono un elemento di
affermazione del mondo inuit al di
fuori dei propri confini.
Donna Inuit, 9KbDoona Inuit, 8Kb
Donna Inuit, 9Kb

 BibliografiaFogel-Chance, Nancy 1993 "Living in both worlds : 'modernity' and 'tradition' among North Slope Inupiaq women in Anchorage",
Arctic Anthropology, 30(1) :94-108.Malaurie, Jean1991 Gli ultimi re di Thule,Oscar Mondadori.Ed originale 1976
Les derniers rois de Thulé.Avec les esquimaux polaires,
face à leur destin, Plon, Paris.Fotografie sono tratte da :Oakes and Riewe
1996 Our boots.An inuit women's art,Thames and Hudson, London,New York
     
Maionese Stitch