Laureata in Filosofia presso l'Università di Torino
con una tesi in Antropologia Culturale dal titolo "Uomini, sciamani e animale nella cultura inuit" |
Le donne inuit nel contesto tradizionale | ||||
Gli Inuit,
sicuramente più noti comeEschimesi, sono gli abitanti di quelle terre a nord del mondo che rientrano nella generale definizione di 'Artico'. Il termine 'Eschimesi', che significa 'mangiatori di carne cruda', v eniva originariamente utilizzato, in sensodi spregiativo, dalle tribù indiane algonchine del Nord America per designare le popolazioni residenti nelle zone più settentrionali, presso le quali il consumo di carne cruda era, effettivamente, abituale.Questa denominazione è stata adottata dalla prima letteratura antropologica europea e nordamericana ed è in seguito entrata nell'uso comune. In realtà, gli abitanti dell'Artico definiscono se stessi 'Inuit', termine che nella loro lingua significa 'uomini'. |
Esso è infatti la forma plurale di inuk, cioè 'uomo'. Gli Inuit occupano un'area piuttosto vasta, che comprende l'Alaska e il tratto della Siberia che si affaccia sullo stretto di Bering, il nord Canada e la Groenlandia.* Se racchiudere il senso di una cultura in poche definizioni sistematiche è certamente un'impresa difficile, la situazione si complica ulteriormente per le culture che, come quella inuit, hanno sperimentato trasformazioni spesso traumatiche, derivanti dal contatto con i bianchi e, in alcuni casi, da periodi di colonizzazione. È possibile tuttavia individuare alcuni aspetti della vita e della cultura inuit che potremmo definire 'tradizionali', in quanto caratterizzati da abitudini e attività destinate in seguito a mutare in modo considerevole sotto l'influenza sempre crescente dei bianchi. |
Le caratteristiche dell'ambiente fanno sì che la caccia rappresenti tradizionalmente per gli Inuit l'attività di sussistenza fondamentale. La caccia si configura come un'attività prettamente maschile, che costituisce il fulcro dell'economia di questo popolo e che al tempo stesso riveste un'enorme importanza a livello sociale e simbolico. Essere un buon cacciatore significa non solo poter nutrire adeguatamente la propria famiglia, ma anche godere del rispetto degli altri membri della società e acquisire prestigio all'interno del gruppo. Il rilievo conferito alla caccia potrebbe indurre a ritenere che la cultura inuit sia portata tradizionalmente a sopravvalutare il ruolo dell'uomo e delle sue attività e parallelamente a porre in secondo piano l'universo femminile. In realtà, basta leggere le numerose monografie su questo popolo per convincersi del contrario. |
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La famiglia nucleare, che costituisce
l'unità di collaborazione primaria, si fonda sulla divisione complementare del lavoro tra il marito e la moglie. L'uomo è colui che si occupa della caccia e degli spostamenti, curando la manutenzione del kayak e della slitta e provvedendo ai cani. Tuttavia, i successi di un cacciatore sono indissolubilmente legati all'attività e all'abilità della propria moglie. Sono infatti le donne che tradizionalmente si occupano di lavorare le pelli per produrre i capi di abbigliamento e le calzature per tutta la famiglia, nonché le tende e i rivestimenti per le imbarcazioni.. È facile comprendere come, per l'uomo che va a caccia in un ambiente di tipo artico, la qualità degli abiti che indossa e la resistenza dei suoi stivali siano requisiti essenziali per la sopravvivenza e per il successo nel catturare le prede. |
Ogni cacciatore
riconosce esplicitamente il contributo insostituibile fornito dalle donne, non solo nella lavorazione delle pelli e nella confezione dell'abbigliamento, ma anche nella cura di esso. Nessun uomo potrebbe sopravvivere nell'ambiente artico senza quella complementarità di ruoli e di funzioni che lo lega alla donna e che fa della coppia l'unità minima, in assenza della quale il sostentamento diviene impossibile. Nella cultura tradizionale è compito delle donne assicurare che gli stivali e gli altri indumenti non perdano mai la loro morbidezza. Le basse temperature tendono infatti a screpolare e a irrigidire la pelle, rischiando di rendere inutilizzabili gli abiti. Le donne provvedono allora a masticare gli stivali o gli altri indumenti, in modo che siano morbidi e pronti per essere indossati facilmente dall'uomo che va a caccia o dagli altri membri della famiglia. Le pelli vanno inoltre masticate prima di essere lavorate e cucite, il che richiede un impegno pressoché continuo e incessante * |
La masticazione
delle pelli costituisce in epoca tradizionale una delle attività maggiormente praticate dalle donne inuit, tanto che in passato non era possibile trovare una donna che non avesse la dentatura completamente consumata già in età relativamente giovane . Le donne si dedicano inoltre alla pesca nei pressi dell'accampamento e raccolgono piante, bacche e uova di uccelli, spesso aiutate dai bambini. Preparare i pasti e procurare l'acqua e il combustile per l'illuminazione e il riscaldamento dell'abitazione rientrano nelle mansioni femminili. |
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Oltre a tutto ciò,
la donna è impegnata naturalmente nella cura dei bambini, oggetto di grande affetto e interesse presso gli Inuit. Fino dai primi istanti di vita il neonato entra in stretto contatto con la madre, che lo porta con sé ovunque, trasportandolo nell'amauti, tipica casacca in pelle di foca o caribù provvista di una sacca sulla schiena . Il tipo di rapporto che si instaura tra madre e figli e più in generale tra adulti e bambini è comunque piuttosto differente rispetto a quello che caratterizza il mondo occidentale. I bambini sono molto amati e spesso coccolati, ma godono di una notevole indipendenza fino dalla più tenera età. Essi possono molto frequentemente decidere in modo autonomo come agire e come occupare il proprio tempo e dispongono anche di una certa libertà nel trascorrere le giornate o la notte presso parenti o amici. Questo tipo di modello educativo, che nella nostra società verrebbe sicuramente associato a disinteresse o mancanza di cure da parte dei genitori, trova invece una spiegazione nel fatto che gli Inuit riconoscono dignità e autonomia al bambino anche quando esso è piuttosto piccolo. |
Rispettare le scelte di un bambino significa secondo questo popolo attribuirgli dignità e insegnargli a prendere decisioni fin dall'inizio, in modo che egli sviluppi una propria esperienza del mondo basata sul rispetto reciproco e non sui rapporti di forza. I pochi cenni forniti fin qui dovrebbero chiarire come la cultura tradizionale inuit riconosca alla donna un ruolo e una funzione insostituibili, che si esprimono nell'alto grado di cooperazione presente tra i coniugi all'interno dell'unità domestica. Anche se i matrimoni avvengono solitamente per decisione dell'uomo, una donna conserva sempre la possibilità di abbandonare il marito e di tornare nella propria famiglia, qualora l'unione presenti problemi eccessivi o incompatibilità non superabili. |
Ciò che ricaviamo
da questo primo sguardo sulla cultura inuit nelle sue forme tradizionali è dunque il ritratto di una figura femminile ben definita e distinta dall'uomo in quanto a funzioni e attività. Questa distinzione non sembra tuttavia tradursi in un sistema di rapporti sociali che ponga la donna in una posizione di inferiorità rispetto all'uomo o che le riconosca minori diritti o minore autonomia. Il profilo fin qui tratteggiato nasce dall'analisi di un contesto culturale che abbiamo definito 'tradizionale', ossia non ancora eccessivamente influenzato dai contatti con il mondo occidentale. Se spostiamo la nostra attenzione sulla situazione contemporanea, vediamo emergere alcuni aspetti di un certo interesse, che arricchiscono la prospettiva di indagine sulla donna inuit e sulla sua identità. |
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Un caso contemporaneo: alcune riflessioni | ||||
L'intensificazione
dei rapporti con il mondo occidentale ha determinato per gli Inuit, come per molti altri gruppi culturali, una serie di trasformazioni dei modelli di vita tradizionali che, per l'estrema rapidità con la quale si sono verificati, hanno spesso avuto un effetto traumatico su questa popolazione. A partire dagli anni cinquanta, gli organismi governativi europei e americani cominciano ad esercitare una crescente attività di intervento e di controllo sui territori inuit, che si traduce in un sempre maggiore coinvolgimento di questi popoli nell'economia di mercato. Gli insediamenti tradizionali vengono in alcune zone sostituiti da villaggi sorti in prossimità di basi militari o zone commerciali controllate dai bianchi, che si servono degli Inuit come di una fonte di manodopera a basso costo. Le nuove esigenze economiche e sociali, in molti casi incompatibili con i valori tradizionali, danno origine a tensioni e a fratture che lacerano il tessuto culturale, talora in modo drammatico. Attualmente, un numero considerevole di Inuit vive in centri urbani situati in varie zone del Canada, dell'Alaska e della Groenlandia. Molti di essi sono impiegati nelle strutture lavorative create dai bianchi, ma sono numerosi i casi in cui queste minoranze vivono ai margini della società, vittime di alcolismo e disoccupazione. Possiamo domandarci quale sia il ruolo riservato in questi nuovi contesti alle donne inuit e in che termini si sia strutturato il loro rapporto con la 'modernità'. |
Un caso
interessante ci è fornito dallo studio compiuto nel 1986 dall' antropologa Nancy Fogel-Chance, la quale ha analizzato l'esperienza di un gruppo di donne Inupiaq (questo è il nome degli Eschimesi che popolano l'area nord, nord-ovest dell'Alaska) che si erano trasferite dai loro villaggi ad Anchorage, uno dei centri più grandi e più moderni dell'Alaska. Si tratta di una situazione che può essere per certi aspetti esemplificativa, in quanto mette in luce aspetti dell'identità femminile inuit molto interessanti. Le donne che costituivano il gruppo oggetto di questo studio non erano in condizioni particolarmente disagiate, poiché molte di esse disponevano di un'occupazione stabile o, pur essendo impiegate saltuariamente, non avevano grosse difficoltà economiche. Ciò nonostante, la nuova vita intrapresa mostrava numerosi elementi problematici. Un aspetto che emerge con chiarezza è la pressione che l'ambiente sociale cittadino esercitava su queste donne affinché esse si conformassero ai modelli femminili tipici della cultura euro-americana. Uno dei mezzi attraverso i quali una cultura affronta la diversità è costituito dal tentativo di inserire quest'ultima in paradigmi che permettano di controllarla e, in un certo senso, di neutralizzare il pericolo che essa sempre, almeno potenzialmente, rappresenta. |
Nell'organizzare l'integrazione delle donne inuit nel contesto cittadino, i servizi sociali e le autorità tentarono in primo luogo di uniformare il comportamento e le abitudini di queste 'native' a un modo di 'essere donna' che si pretendeva universale, ma che altro non era se non il modello di femminilità proprio della cultura euro-americana.Le modalità di essere donna e madre codificate in ambito occidentale venivano ritenute prerogative 'naturali' e quindi imprescindibili dell'identità di ogni donna. Molti di questi aspetti sono tuttavia in netto contrasto con i principi che regolano il comportamento della donna inuit all'interno della società e nel rapporto con i figli. Abbiamo visto in precedenza come i bambini rivestano una grande importanza in questa cultura e come, pur essendo oggetto di attenzione e rispetto, essi godano di un'indipendenza che implica forme di controllo non troppo rigido da parte degli adulti. Questo tipo di rapporto fu all'origine di molte delle difficoltà che le donne Inupiaq di Anchorage dovettero affrontare. Secondo il concetto di maternità occidentale condiviso da chi gestiva i servizi sociali, l'atteggiamento di queste donne era espressione di mancanza di attenzione e di trascuratezza nella cura dei bambini. Il fatto che ad essi fosse permesso trascorrere la notte da parenti o amici secondo le proprie preferenze veniva ritenuto sintomo di uno stato di abbandono, che richiedeva un intervento esterno mirato a correggere il comportamento di queste madri. |
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Un approccio di questo genere non teneva in alcun conto le modalità culturali secondo le quali la relazione madre-figli veniva organizzata presso gli Inuit e mostrava di ignorare come la cura dei bambini fosse alla base di una complessa rete di rapporti sociali e di parentela. Ai piccoli era permesso trattenersi anche a lungo presso parenti o conoscenti, perché questo contribuiva a rafforzare i legami esistenti tra i vari gruppi. La vita in città determinò dunque una trasformazione, almeno parziale, di alcuni aspetti della cultura tradizionale e impose alle donne inuit di adattarsi, del tutto o in parte, ai modelli proposti dalla mentalità occidentale. Ciò nonostante, lo studio condotto ad Anchorage mostra come, a dispetto delle forti pressioni esterne, le donne inuit mantennero in vita molteplici elementi della cultura tradizionale, combinandoli con le esigenze emerse dal nuovo contesto. Il sistema di relazioni fondato sulla condivisione e sull'aiuto reciproco continuò a legare le donne tra loro, per quanto l'organizzazione sociale e spaziale della città rendesse più difficili i contatti. Anche le attività tradizionali non furono abbandonate completamente, tanto che l'arte di lavorare e cucire le pelli costituisce ancora oggi un forte elemento di identificazione culturale per le donne inuit . |
Riflessioni | L'immagine che
sembra emergere è quella di un'identità femminile dinamica, aperta, i cui margini sono in grado di ridefinirsi per adattarsi ai nuovi contesti. Se è vero che l'apertura verso l'esterno costituisce un forte elemento di rischio per la tradizione, è innegabile che essa sia anche l'unica via possibile per una continuità che permetta ad una cultura di sopravvivere anche in condizioni di grande precarietà. In questo caso, la cultura inuit trova nelle donne un punto di forza, attraverso il quale la frattura tra passato e presente non viene certo negata, ma è accompagnata anche da una ricerca di continuità e di adattamento incessante. Il problema della sopravvivenza della tradizione non andrebbe dunque posto tanto in termini di 'autenticità', quanto piuttosto di vitalità culturale, di capacità di trasformazione e ridefinizione. Possiamo allora affermare che le donne inuit che oggi vivono nelle città e vestono all'occidentale non sono per questo 'meno inuit' delle donne che fino a poco tempo fa percorrevano immense distese di neve portando i loro bambini dietro le spalle. |
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Prendendo
spunto dal caso di Anchorage, è possibile sviluppare alcune riflessioni di carattere più generale sull'identità della donna inuit. Un primo aspetto che vale la pena di mettere in rilievo è il fatto che, nel processo di adattamento alla vita cittadina, gli uomini inuit incontrano maggiori difficoltà rispetto alle donne, poiché essi, tradizionalmente impegnati nella caccia, faticano a trovare elementi di continuità all'interno del nuovo contesto. La donne, attraverso il mantenimento delle relazioni di aiuto reciproco, lo scambio delle visite e anche delle conoscenze tradizionali, riescono a inserirsi in maniera meno traumatica nel tessuto cittadino, dando vita a modalità di affermazione culturale che risentono certamente dell'influenza del mondo occidentale e che tuttavia non mancano di forza e originalità . Ciò che si verifica è una sorta di paradosso : le donne, che nei processi di integrazione nelle città sembrano subire in misura maggiore degli uomini l'influenza dei modelli culturali occidentali, sono anche portatrici di valori tradizionali che si integrano con la modernità e che costituiscono un elemento di affermazione del mondo inuit al di fuori dei propri confini. |
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BibliografiaFogel-Chance, Nancy
1993 "Living in both worlds : 'modernity' and 'tradition' among North Slope Inupiaq
women in Anchorage", Arctic Anthropology, 30(1) :94-108.Malaurie, Jean1991 Gli ultimi re di Thule,Oscar Mondadori.Ed originale 1976 Les derniers rois de Thulé.Avec les esquimaux polaires, face à leur destin, Plon, Paris.Fotografie sono tratte da :Oakes and Riewe 1996 Our boots.An inuit women's art,Thames and Hudson, London,New York |
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