associazione En Plein Air Arte Contemporanea
collettiva PRESENTE PROSSIMO Abramovich Kush coma:
a cura di Elena Privitera e Marco Filippa, presentazione di Laura Marchiando Pacchiola
ARTISTI:
Federica Beltramo
Pietro "Ypres" Campagnoli
Claudia Petacca
Marco Labrate Rebor
Tommaso Sacchetto
Senior Joel Angelini
“Dove il mondo cessa di essere il palcoscenico delle nostre speranze e
dei nostri desideri per divenire
l’oggetto della libera curiosità e della contemplazione lì iniziano
l’arte e la scienza .
Se cerchiamo di descrivere la nostra esperienza all’interno degli schemi
della nostra logica,
entriamo nel mondo della scienza; se, invece, le relazioni che
intercorrono tra le forme della
nostra rappresentazione sfuggono alla comprensione razionale e pur
tuttavia manifestano intuitivamente
il loro significato, entriamo nel mondo della creazione artistica”.
Albert Einstein
Da che presupposti possono partire le ultime generazioni di giovani
artisti, ragazzi cresciuti nel
villaggio globale, nativi digitali, informati e frastornati (?) da un
universo segnico multiforme,
dal ritmo immediato ma non sempre decodificabile?
Che senso può avere ancora l’arte, fare arte, parlare di arte, praticare
arte, in un PRESENTE PROSSIMO
che più che ” un già e non ancora” è un “ hic et nunc “ che brucia il
tempo nel momento stesso del suo
dispiegarsi e sembra non lasciare spazio ad alcun tipo di
sedimentazioni?
L’orizzonte con cui avviene il confronto, primo presupposto, non
può essere che il mondo intero: certo
un mondo filtrato e multiforme, quello del web e dei social network,
dove la connessione è virtuale e
raramente reale. Ma tant’è.
Walter Benjamin già nella prima metà del secolo scorso indagava (e si
preoccupava) di che ne sarebbe
stato dell’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità. La
questione è stata superata dai fatti:
anzi la stessa riproducibilità e replicabilità sono diventati mezzi in
più a disposizione degli artisti,
uno di quegli aspetti, anche ludico, che ne hanno ampliato il potenziale
espressivo (secondo presupposto).
Parrebbe configurarsi un’immagine di esperienza artistica simile alla
deriva dei continenti, un pluralismo
di significanti e significati talmente diversificato anche nei livelli,
da fungere da alfabetizzazione
estetica (terzo presupposto).
Non si spiegherebbero altrimenti esperienze come la cultura dei
graffiti dove il grado zero corrisponde
alla tag che è la presa di possesso dello spazio ( né più e né meno come
l’impronta della mano rupestre)
fino a quelli più raffinati e complessi che esprimono il bisogno innato
degli artisti di tutti i tempi
di estetizzare il proprio habitat.
Sto quasi chiudendo il cerchio nel cercare un denominatore comune a
tutte queste esperienze e personalità
che En plein air ha raccolto, declinate in forme e modi che partendo
dalle proprie interiorità sono approdate
a risultati segnici e formali già con una loro grande dignità.
Il quarto presupposto è senz’altro il non poter fare a meno del
confronto con lo storico, con le esperienze
che hanno preceduto anche questa generazione di artisti perché l’arte si
è sempre nutrita di arte, confrontata
e scontrata.
I loro percorsi sono paralleli e coprono le varie tipologie espressive
passando dal figurativo, all’espressionismo,
al graffitismo, alla street art ed il loro retroterra si è ben nutrito
della lezione dei padri e dei fratelli
maggiori (Vermeer, Leonardo, Grosz, Warhol, Basquiat, O’Keeffe , Moore,
Bay, Bacon, Freud, Saville…fino
all’universo disneyano e burtoniano) di cui ne fanno uso come
amplificatore espressivo non certo “ scimmiottatore”.
Sembrerebbe che il loro fare arte obbedisca più ad un primario bisogno
fisiologico, ad un imperativo categorico
in cui le istanze problematiche si fanno “ esprit de finesse” :
il mondo viene filtrato attraverso le sensibilità
e le esperienze di ciascuno in una replica infinità .
Questo non è che il proprio personale contributo alla necessità
inconscia di integrazione ad una realtà complessa
e contraddittoria che è il mondo in cui viviamo in cui anche
l’opposizione è un processo previsto e autorizzato
(forse cominciano a sospettarlo).
Omologazione? No, mai, piuttosto il proprio personale urlo, il
proprio “Dasein” (esserci) che rivendica tutta
la propria personalità e la propria autonomia, un impegnarsi nel mondo
in una personale Weltanschauung
(intuizione del Mondo).
E allora eccoli finalmente nelle loro unicità.
FEDERICA BELTRAMO, la cui figurazione a grandi e sapienti colpi
di colore, anche nei disegni a pantone,
rimanda ad uno sfaldamento dell’immagine che sulla tela va a ricomporsi,
come in un tentativo estremo di
ricostruzione della realtà, dei suoi complessi e contraddittori
significati.
In CLAUDIA PETACCA, per contro, la grafia sottile e delicata,
quasi evanescente, rimanda ad una fuga
onirica o, forse, “se il sonno della ragione genera mostri”, allora
eccoli qui, ombre, spettrali apparizioni
fugaci ed inquietanti. Quasi un tentativo estremo per esorcizzare le
nostre paure, il lato inconscio del
nostro Io profondo.
Le figure femminili di TOMMASO SACCHETTO mostrano tutta la loro
anoressica solitudine in un crudo iperrealismo
dai colori acidi ed aspri che sembra alludere ad una condizione umana
disperante ma lascia intravedere una
parvenza di fuga nell’innesto di porzioni di fantastico nelle figure
stesse.
MARCO ABRATE “REBOR” e PIETRO CAMPAGNOLI “YPRES” sono accomunati
dalla lezione della street art
“una delle forme d’arte più oneste che ci siano” (Banksy) dove il fare
coincide
con essere e il vastissimo assortimento di materiali disponibili amplia
enormemente il potenziale espressivo.
ABRATE è istintivo ed incontenibile, esplora tutti i temi, i
materiali ed i supporti con creazioni che
vanno dal ludico all’irriverente.
PIETRO CAMPAGNOLI allarga il campo anche alle installazioni e
opera con attenzione particolare al significato
semantico del pezzo.
Infine il senior JOEL ANGELINI la cui opera scultorea rimanda a
forme archetipe primigenie la cui materia è
in potenza ciò che la farà divenire la sua storia. Forma ancora
indistinta dove prevale il curvilineo, il
vuoto e il pieno: non un regresso formale ma espressione di un divenire,
di ciò che non è ancora.
Presente prossimo: il mondo in presa diretta.
Laura Marchiando Pacchiola
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