Tra fili blu… la musica dell’anima.
Michelangelo scolpiva levando di Martha Niewenhuijs si potrebbe dire che
dipinge spostando, ed è sottinteso il colore; come se le sue immagini
fluenti fossero estratte magicamente da un magma cromatico primordiale,
in un’alba della pittura sempre viva, eterna. So che non è vero,
tecnicamente parlando, ma è verosimile e poi poco importa, in fondo,
perché il suo mondo è sicuramente cromaticamente splendente e, se sono
rintracciabili, le sue origini (posso immaginare abbiamo amato certe
cose di August Macke, di Franz Marc, di Alexej von Jawlensky e sia stata
colta dal piacere della perdita gravitazionale di Marc Chagall) è
indubbio che il suo linguaggio sia maturo e autonomo. Le sue figure sono
raffigurazioni di un’umanità animata dal soffio vitale (ànemos in greco
è traducibile non a caso con la parola “soffio” o vento), figure che
aleggiano indistintamente tra animalità diverse: umane e no. La sua
pittura è cromaticamente sonora, musica da camera direbbero gli esperti
del settore, anche se talvolta sfocia in punte di orchestralità
dirompenti.La sua musica-visiva è certamente armonica con echi del
passato e sonorità modernissime ma mai contemporanee… non me ne voglia
Martha, non si tratta di un dato dispregiativo ma l’esatto contrario:
tanto per intenderci nulla che abbia a che fare con le atmosfere
dodecafoniche o rumoriste, Igor Stravinsky piuttosto che Arnold
Schönberg. Martha con la sua pittura riscatta l’uomo dalle aride terre
in cui si è cacciato nel nostro tempo, lo ri-umanizza perché lo libera
dalle ingessature di un presente che idealizza la materia
materializzando le idee; non si preoccupa di essere vero somigliante
perché aspira a molto di più, alla verità, non ricerca corrispondenze
cromatiche con la realtà perché guardandola dentro, ritrova gli accordi
cromatici che la fanno risuonare e per la proprietà transitiva siamo noi
a risuonare concedendoci alla poesia dell’anima che la sua pittura
riesce a farci ri-trovare.
giugno 2014 Marco Filippa
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Quando si ci si trova di fronte alle figure di Martha, dipinte pescando
in un inconscio giocoso
per ribellione, capiamo, noi marionettisti, come dare colore alle nostre
marionette, ma non nella
banalità di una tinta superficiale o di una linea forse superflua,
perché stupidamente definita e
così prigioniera, ma nell’essenza di un colore denso e coraggioso che,
scommettendo sulla drammaturgia
dell’equilibrio dei corpi, crei un contesto immaginifico in cui esse,
come metafore di una vita vissuta,
possano immergersi sicure con movimenti emozionanti, dichiaratamente
libere e strabiliabilmente umane.
giugno 2014 Damiano Privitera direttore artistico Festival.
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