In un mondo dalla consistenza fantasmatica, dove l'uomo è diventato
una fragile, impalpabile
presenza,il recupero di elementi minimi, talora imperscrutabili,e di marginalità infinitesime,
può risultare importante.
LAURA AMBROSI è attiva in un contesto artistico che mette alla prova il linguaggio della scultura,
spingendolo verso un'idea di design, interpretabile nel senso inteso il filosofo Max Bense,
luogo di incontro fra la necessità delle funzioni e l'innovazione estetica.
L'oggetto si configura, di conseguenza, come un elemento capace di captare situazioni e di
esprimersi attraverso nessi, primo tra tutti la polarità di assenza e presenza.
Gli Appendiluce, ad esempio, palesano la luminosità come un catalizzatore che si confronta
con il colore e lo spazio, richiamando altresì la memoria di un indumento, tanto da rendere
estensivo il dualismo illusione-essenza. Tutti gli oggetti di Ambrosi si rapportano in modo
dialettico con l'ambiente, mantengono una leggerezza intrinseca che li definisce: per esempio
diventano "oggetti privati", indumenti intimi , trasposti dalla dimensione del quotidiano a quella
di reperti della memoria e, successivamente, di indicatori situazionali.
Non vi è mai reificazione, piuttosto si materializza in essi la fluidità del divenire.
IRINA NOVARESE si esprime attraverso la fotografia, per filtrare la frammentazione e la
mutevolezza dell'essere. Sceglie una dimensione "estroversiva" del medium, lasciandolo penetrare
all'interno delle intricate maglie esistenziali, tra assenza e presenza. Le sue immagini sembrano
animate dalla volontà di verificare che cosa significhi oggi abitare lo spazio, adattarsi ad un
contesto vitale diventato straniante . Le fotografie ripetono, talora in modo ossessivo,
sequenziale, gli stessi elementi, facciate di edifici, scale antincendio, finestre con un taglio
prospettico sghembo, superfici piatte, che generano un senso di precarietà, di dinamica implosivi.
Sono tessere di un universo metropolitano costruito sulla ripetizione del sempre uguale:
l'anonimato le trasforma in involucri vuoti, che potrebbero appartenere a qualsiasi tempo e a
qualsiasi luogo. Il punto estremo del processo è la costruzione di "immagini in negativo", che
lasciano in-tuire interni asettici, dalla consistenza effimera, giocata in un dualismo di
trasparenze e oscurità, di esprimibile e sottaciuto.
Il concetto, già espresso da Paul Klee, che l'essenza dell'opera si identifica con l'enigma,
caratterizza la ricerca di LUISA RAFFAELLI. L'aspetto ineffabile della comunicazione, l'idea
che la parola sia la cifra enigmatica dell'essere, assume nel lavoro installativo e fotografico
dell'artista una consistenza archetipale che, molto spesso, affonda le sue radici nella matrice
letteraria dei personaggi di James Joyce. E' ricorrente una figura femminile, che appare nelle
posture più diverse: sul fondo di un secchio, o imprigionata dentro una bolla di plexiglas,
sospesa nell'aria, o, ancora, sulla superficie di una conca argentata, piena di acqua soffocante.
Talora il volto, ricoperto da una massa di capelli che ne impedisce la riconoscibilità, sembra
scrutare dentro una conca o in una borsa, alla ricerca di qualcosa che forse neppure esiste.
Le immagini alludono all'ambiguità: sono evocative di uno stato afasico della comunicazione,
laddove la parola ha cessato di essere quel che afferma Walter Benjamin, l'espressione
dell'onnipotenza creativa dell'uomo e, al contempo, sono avocative, nel senso che richiamano a
sé il bisogno di un recupero dell'equilibrio, se pure incerto, tra l'uomo e il
mondo
TRADUZIONE:
En un mundo de consistencia fantasmagórica, donde el hombre se ha convertido en una frágil e
impalpable presencia, la recuperación de elementos mínimos, tal vez inescrutables, y de
marginalidades infinitesimal, pueden resultar importante.
LAURA AMBROSI es activa en un contexto artístico que pone a prueba el lenguaje de la escultura
equiparándolo a una idea de desing, interpretable en el sentido expresado por el filosofo Max
Bense, lugar de encuentro entre la necesidad de las funciones y la innovación estética.
El objeto se configura, en consecuencia, como un elemento capaz de captar situaciones y de
expresarse por medio de nexos, primero entre todos la polaridad de ausencia y presencia.
Los Appendiluce, por ejemplo, manifiestan una luminosidad como un catalizador que se confronta
con el color y el espacio, por ejemplo apelando la memoria de un indumento, hasta hacer extensivo
el dualismo ilusión-esencia. Todos los objetos de Ambrosi se remiten, de manera dialéctica,
con el ambiente, mantienen una levedad intrínseca que los define: por ejemplo se convierten en
"objetos particulares", indumentaria intima, transferida de la dimensión de lo cotidiano a la
dimensión del hallazgo de la memoria y, luego, indicadores situacionales.
Nunca hay reedificación, mas bien se materializa en ellos la fluidez del
devenir.
IRINA NOVARESE se expresa por medio de la fotografía, para filtrar la fragmentación y la mutabilidad
del ser. Elige una dimensión "extrovertida" del médium, dejándolo penetrar en el interior de unas
intrincadas mallas existenciales, entre ausencia y presencia. Sus imágenes parecen animadas por la
voluntad de averiguar lo que hoy significa el espacio, adaptarse a un contexto vital que se ha
vuelto extraño. Las fotos repiten, tal vez de manera obsesiva y secuencial los mismos elementos:
fachadas de edificios, escaleras antiincendio, ventanas con cortes de perspectiva sesgados,
superficies chatas, que engendran un sentido de precariedad, de dinámicas implosivas.
Son pedazos de un universo metropolitano construido sobre la repetición del siempre igual:
El anonimato los convierte en envolturas bacías que podrían pertenecer a cualquier tiempo y a
cualquier lugar. El punto extremo del proceso está en la construcción de "imágenes en negativo"
que dejan intuir interiores asépticos, de consistencia efímera, jugada en un dualismo de
transparencia y oscuridad, de exprimible y silencio.
El concepto ya expresado por Paul Klee, de que la esencia de la obra se identifica con el enigma,
caracteriza la búsqueda de LUISA RAFFAELLI. El aspecto inefable de la comunicación, la idea de que
la palabra sea la cifra enigmática del ser, asume en el trabajo de instalación y fotografía de la
artista una consistencia arquetipal que, con frecuencia, hunde sus raíces en la matriz literaria
de los personajes de James Joyce. Es recurrente una figura femenina que aparece en las posturas
más distintas: en el fondo de un cubo, o aprisionada dentro de una burbuja de plexiglás, suspendida
en el aire, o aun, sobre la superficie de un cuenco plateado, llena de agua ahogante.
A veces la cara, cubierta por una tupida melena que impide su reconocimiento, parece escudriñar
hacia el interior de un cuenco o una bolsa, a la búsqueda de algo inexistente.
Las imágenes aluden a la ambigüedad: son evocativas de un estado afásico de la comunicación, donde
la palabra acaba siendo lo que afirma Walter Benjamín, la expresión de la omnipotencia creativa del
hombre y al mismo tiempo, son evocativas en el sentido que evocan la necesidad de una recuperación
del equilibrio, aunque incierto, entre el hombre y el mundo.
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