|
|
Non esiste a
tutt'oggi una ricerca sull'arte delle donne in Italia che
ripercorra la storia degli ultimi trent'anni e indaghi quando, e con quali
modalità, le donne hanno fatto arte (1). Difficile
dunque al momento, con il
poco materiale disponibile, scrivere di questa specifica dimensione dell'arte.
Dalle rare fonti, per la maggior parte articoli comparsi su riviste di settore,
emerge però, e in modo chiaro, come l'arte delle donne si presenti sulla scena
sempre strettamente collegata ad una svolta generazionale mai ristretta all'ambito
artistico, ma legata anche a profondi mutamenti sociali e politici, con un'inevitabile
messa in discussione di soggetti, modalità e ruoli. E' successo negli anni Settanta
e nuovamente nell'utimo decennio. La presenza di artiste è invece visibilmente
diminuita negli anni Ottanta, quando si andava definendo un ritorno alla pittura
figurativa, con la nascita della Transavanguardia, mentre su un altro versante
l'Arte Concettuale si andava inserendo nel circuito museale, con un inevitabile
storicizzazione.
Fin dai primi anni Settanta sulle pagine delle riviste specializzate si sono
susseguiti sporadici tentativi di analisi rivolti al contesto contemporaneo.
Nell'estate del 1975 la rivista Data, dedica un lungo articolo alla situazione
americana: Anne Marie Boetti è l'autrice, L'altra creatività il titolo.
L'aggettivo che accompagna la produzione delle donne sottolinea da subito lo
stato di alterità e di implicita marginalità rispetto all'ampia e visibile
produzione maschile. Nel testo, per la prima volta in Italia, si affrontano
le vicende dell'arte femminista d'oltreoceano. Si leggono i nomi di artiste
ancor oggi poco o per niente conosciuti, anche dagli addetti ai lavori:
Agnes Denes, Nancy Spero, Joyce Kozloff, Blythe Bohnen, May Stevens, Howardena
Pindell. Nelle stesse pagine e attraverso alcune dichiarazioni delle protagoniste
si insiste sulle istanze politiche che muovono l'arte prodotta dalle donne (2)..
Nell'autunno, sulle pagine della stessa rivista, sempre Anne Marie Boetti prende
in esame anche la situazione italiana con una serie di riflessioni accompagnate
da scritti di Carla Accardi e Marisa Merz (3).
Gli interventi in questo caso sono
rivolti più all'ambito della produzione artistica, con alcuni cenni biografici,
ma senza quasi mai prendere in esame un possibile ruolo politico, aspetto che
invece caratterizza gran parte del dibattito americano.
Negli stessi anni, ma non oltre il 1980, il lavoro delle artiste italiane è presente,
attraverso recensioni e interviste, anche sulle pagine della rivista milanese Flash Art.
Lungo gli anni Settanta la produzione
delle artiste contemporanee è dunque oggetto
di interesse da parte della critica. Una creatività diffusa e dinamica mossa oltre
che da intenti formali anche da tensioni politiche e sociali e attenta più al processo
di conoscenza che al manufatto. Ma già nei primi anni Ottanta si delinea un nuovo
ripensamento del ruolo dell'artista che attraverso la scultura e la pittura "recupera
una vitale spiritualità". Rigore, "tempi lunghi e
accaniti" (4). L'arte torna ad
essere
un unico, grande spazio neutro mosso da un fare che richiede solitudine e silenzi.
E in questo arco di tempo, l'attività delle donne diminuisce in modo evidente, quasi
fosse impossibile riconoscersi ed avvallare una stagione "neomanierista",
autoreferenziale
e incentrata su una produzione volta principalmente alla formalizzazione dell'opera.
Le donne della nuova generazione sono ancora troppo giovani mentre le protagoniste
delle avanguardie del dopoguerra, le poche riconosciute dalla critica, sono ormai
entrate nel circuito museale nazionale. Quasi nessuna raggiungerà, anche negli anni
successivi, quello internazionale. Praticamente inesistente la generazione di mezzo.
Quella italiana è certamente una situazione anomala se si pensa che negli stessi anni
in Germania, in Francia e in particolare negli Stati Uniti, sono proprio le donne,
la seconda generazione femminsta, a ritagliarsi uno spazio significativo e di potere.
Jenny Holzer, Cindy Scherman, Barbara Kruger sono solo alcune delle protagoniste di
una stagione importante dell'arte americana. Attraverso il linguaggio dei media,
attraverso l'uso della fotografia e del video, le donne iniziano una ricerca sullo
stereotipo femminile veicolato dalla cultura dominante e utilizzano l'ironia come
mezzo di espressione per mettere in discussione l'autorità del pensiero moderno (5).
In Italia, solo a partire dalla seconda
metà degli anni Ottanta, dopo un crollo
verticale dell'economia dell'arte, si profila un cambio veloce di attori, contenuti
e metodologie. Una svolta che non riguarda solo il campo delle arti figurative ma
che coinvolge - con una certa discrasia rispetto al panorama internazionale - numerosi
altri settori della cultura. In un breve arco di tempo, non più di due o tre anni, si
presenta sulla scena un'ampia presenza femminile. Ad oggi infatti "più della
metà"
degli artisti sono donne, di un'età compresa tra i 25 ai 35 anni, sparse un po' ovunque,
da nord a sud. Il fenomeno si accompagna ad un cambio generazionale che riguarda
donne e uomini e che nuovamente si avvicina alle dinamiche sociali e politiche,
tentando di rompere ancora una volta l'ambito ristretto ed autoreferenziale dell'arte.
Ormai lontani dalla lotta e dai sogni di rivoluzione, "gli
artisti di oggi parlano
dell'esistenza per quello che è: qualcosa di cui si fa esperienza in modo frammentario,
difficilmente componibile, dove la frammentarietà rimanda direttamente alla natura
alienata dell'esperienza stessa" (6).
Superata la cultura della differenza, l'ultima
generazione si muove in un terreno precario e indefinito, dove la ricerca diventa un
processo soggettivo, mosso da esperienze e relazioni. "L'opera
d'arte oggi non è un
arcano sovraordinato alle percezioni comuni, ma è un oggetto non terminato dall'autore e
che domanda di essere terminato dall'intervento attivo del lettore, dello spettatore,
del fruitore"(7).
|