COLORI PRECARI
I colori, sembrerà scontato ma è indubbiamente così, fanno parte della vita di ognuno di noi,
così come la parola.
Riprendendo l’interessante assioma di, colore come significato e significante, diverse
considerazioni emergono, da quello che, in questa società, a mio modesto parere, è in continuo
mutamento così come nel linguaggio.
Colore quindi come forma di linguaggio, un comunicare sempre più intenso e diversificato, al
punto di avere, in certi casi, seri problemi nell’individuare l’assioma di cui sopra.
In “questa irata sensazione di peggioramento”, per dirla alla Fenoglio, assisto sempre
più a
questa mutazione, che in molti casi, diventa precarietà.
Nelle ultime elezioni politiche, vi è stata, (escludendo alcuni nostalgici), una vera e propria
ricerca nel far “sparire” dai relativi schieramenti, alcuni simboli e alcuni colori.
Per molti questa tendenza è stata letta come una uniformazione, un voler “vendere” un prodotto,
che, in molti casi, appare identico.
Per non incappare in una facile demagogia, bisogna scendere a un ulteriore livello di analisi.
Il colore rosso o il colore nero, ad esempio, suscitano, in questo ambito politico, chiari
riferimenti storici e di pensiero. Il farli sparire, non solo dal linguaggio, ma anche dai
propri simboli, vuol dire (ecco che ritorna l’assioma significato-significante), oltre a
proporsi come qualcosa di nuovo (non riuscendoci pienamente, in molti casi), anche cancellare
parte della memoria collettiva.
Arrivando ad esempi più immediati e quotidiani, proviamo a riflettere un secondo sulle insegne
commerciali, dove negozi di scarpe assomigliano sempre più a discoteche, con luci sgargianti
o a gallerie d’arte contemporanea. o ai colori delle automobili, “un auto dalle prestazioni
incredibili e da un super red cangiante…” o hai prodotti di uso quotidiano come i bagnoschiuma
una volta solamente bianchi ora in “fantastici” colori fluo.
Tutto questo discorso, sommario e sintetizzato per ovvi limiti, per arrivare alla conclusione
che, la precarietà oramai ha raggiunto anche l’ambito dei colori.
Mi mancano i colori delle auto di una volta, l’arancione delle Fiat 127, così come le camicie
blu impiegatizie, la scritta nera “Ferrovie dello Stato” o le cravatte Regimental, ma senza
incappare in discorsi catastrofici di malthusiana memoria o revanscismi inutili, assisto curioso,
anche qui, a questa mutazione-precarietà.
Rimango dell’idea che l’assioma dal quale siamo partiti nel nostro discorso, è sempre
più frutto
della nostra ricerca, per non cadere in una precarietà e, allo stesso tempo, povertà di significati,
troppo spesso presente nel quotidiano.
Fabio Ceste
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