Giorgio Ramella
testa blu
Blu intenso. Blu del mare, blu del cielo. Blu dell'anima. Un volto in primo piano invade il quadro, sul fondo di una lavagna grattata da segni primordiali. Tracce di un'analisi antropologica o semplicemente, com'è giusto che sia, un discorso tutto interno alla pittura. Un volto ideale (a metà strada tra un geroglifico e un ricordo matissiano, "sporcato" dal tempo) che non è femminile e neppure maschile ma proprio per questo è semplicemente, umanamente divino. Giorgio Ramella, nel suo ormai lungo e consolidato percorso di ricerca artistica, osserva un "Oriente visto con sguardo da europeo, da mediterraneo"1. Da pittore, qual è sempre stato, narra con la lingua del colore e dei segni educandoli ai suoi racconti visivi esteticamente estatici. Testa blu, fin dal titolo, non annuncia altro che se stessa, ma non si tratta di una tautologia bensì di un'assùnto primario che fa di questo dipinto una specie di frame ideale per un film che non esiste se non nel suo immaginario e proseguirà, molto probabilmente, in altri quadri. La ricerca cromatica, di rara eleganza, è il suo tratto poetico fondamentale. Un blu intenso che arriva dal mare e dal cielo ma in realtà appartiene all'anima, la sua certo ma anche la nostra. Sappiamo che ànemos significa "vento" e, senza volermi addentrare in speculazioni filosofiche, appare chiaro che possiamo parlare di anima del mondo (anima mundi la definivano i latini) che si sostanzia, in questo caso, di colore e si accampa su un nero sfondo sordo-opaco. In quest'ottica il quadro appare sempre più chiaro. Ramella offre al nostro sguardo una narrazione visiva scegliendo una modalità semplice, apparentemente priva di un impianto prospettico. C'è lo sfondo, la figura principale risolta cromaticamente e poi ci siamo noi che siamo fuori del quadro ma anche parte integrante dell'opera, il terzo assente che completa il discorso. Allora, se l'analisi è corretta, non resta altro che partecipare al gioco dell'arte, lasciando scivolare la mente altrove, verso noi stessi in fondo. testo Marco Filippa |
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