Ateliering di Sergio Gabriele |
|
Ateliering di Sergio Gabriele Work in Progress non è soltanto una formula innovativa di mostra-evento, situata nell’atelier di Tere Grindatto, è anche e soprattutto un concept-style, un modo di lavorare in fieri, con l’opera che, oltre a non raggiungere mai un suo stato finale, che finisce per essere per l’artista sempre letale, cambia continuamente forma, pur magari esteriormente medesima, adattandosi, confacendosi allo stato umorale dell’artefice. Il fiume non è mai uguale a se stesso, recita un adagio orientale, e così per Tere l’opera è nuova, magmatica e indecente ogni qual volta varca la soglia del suo stesso spazio. Non è una forma di ansia creativa, di insoddisfazione esistenziale, ma un vero e proprio status dinamico, l’unica azione veramente concreta attraverso la quale l’artista fissa in modo aleatoriamente stabile il paradigma del suo fare, più che della sua arte. Tutto ciò emerge non dalla logistica, dalla in-disposizione, dal caos nel quale ogni artista preferisce muoversi, il suo caos, ma dalla tematica profonda che Tere agita fra le righe dei suoi dipinti o i colori dei suoi scritti. Ella attraversa i vari strati della materia informe con lo spirito di una continua spaventevole acquisizione, un viaggio, nelle sembianze più che nelle certezze, nelle incredibili e inquietanti volute del tempo, in una sorta di levitazione animistica che sola le consente di sopravanzare lo shock, perennemente inevitabile. Il tribale in Tere non sta nella stilizzazione in tema, nei geroglifici indistinti frutto di una trance ancestrale, bensì nella natura stessa della elevazione che compie nel suo volo radente, nell’assorbire il flatus che emana dalla materia in trasformazione, cogliendone, per propria natura, l’aspetto traumatico e non quello di semplice crescita. Natura non facit saltus, dicevano i latini, non compie salti, non è traumatica mai, anche quando a volte lo sembra, ma è proprio nel nostro sembrare che insiste il trauma, nel nostro presagire le deviazioni imposte dall’uomo, quelle che a volte chiamiamo arte invece che artefatto, alterazione, scomposizione del linguaggio ancestrale. Tere no, è l’altro volto dell’arte, quella che impietosamente percorre il disastro alla ricerca dei punti in cui la realtà è stata violentata, li astrae li manipola e riconcretizza allo scopo di mostrare la bellezza nativa proprio attraverso lo stravolgimento che ne è stato compiuto. Questa è tribalità, ossequio e deificazione allo scopo di lasciare inalterato il corso delle cose, individuazione di presenze irrazionali, mistiche, paniche poste a tutela dell’ordine naturale del mondo. Un pensiero va a Mefiti, antica dea posta a protezione di boschi, corsi d’acqua e dalle esalazioni venefiche della terra, da cui il termine mefitico che sta per maleodorante. E poi fate, folletti, elfi, le triadi nordiche che è dire quelle greche o latine, per arrivare alle icone microlitiche della tradizione africana, minuscoli monili dotati di proprietà taumaturgiche. Niente a che vedere con l’esoterico, che rientra nella manipolazione irresponsabile dell’uomo. Tere Grindatto non subisce l’influsso di presenze oniriche, ne avverte la circostanza come forma di cautela innata in lei come donna, mentre come artista si limita a rappresentarne la risonanza continua, il che non vuole essere una salvazione, ma una estrapolazione del fantastico che ogni realtà onesta possiede. Un’operazione di cosciente vidimazione dell’incoscienza, cosa che le causa, come a tutti i medium di genere, una somatizzazione dei movimenti, una empatia costituzionale scambiata a volte per semplice ansia di vita, la nostra vita, o complesso della tela bianca, o insoddisfazione dello spazio, il proprio spazio. Tere non ha uno spazio proprio, a dispetto dell’apparenza, dispone semplicemente il suo risultato dell’ordito della trama in modo che tutti possano trarne conclusioni, favorendone la dislocazione successiva, il ritorno in circolo, unico vero indiscutibile obiettivo dell’Arte. E la disposizione assomiglia a certe previsioni sciamaniche che si basano sulla casualità con cui si dispongono manciate di piccoli oggetti lasciati cadere a terra, in forma cioè di riacquisizione da parte della stessa. Nell’atelier di Tere Grindatto si ha netta questa sensazione, di attraversare il suo soffrire di felicità, fare nostra la sua dislocazione in-stabile e uscirne con una vibrazione permanente di risoluzione, seppur dolorosa e senza mai un contorno definito. E’ questo l’Evento, è questa la Mostra. E’ questo l’Ateliering. |
|
esposizioni dal'94 | |
NEWS |
|
enpleinair |