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LE STESSE COSE RITORNANO *
“L’uomo senza identità”. Potremmo modificare in questo modo il titolo di una delle
opere fondamentali del ‘900, “L’uomo senza qualità” di Robert Musil, adeguandolo
opportunamente al nostro tempo. Come afferma il germanista Cesare Cases, vi si
tratta “della riduzione della realtà a irrealtà e degli avvenimenti al loro aspetto
spettrale”. Vi si fa riferimento ad un’ epoca storica ben precisa, impregnata di
decadenza, quella della dissoluzione dell’Impero asburgico e, con essa, al crollo
di valori secolari, primo tra tutti la tradizione. Di qui lo sfacelo dello spirito,
alla deriva, senza alcun modello di riferimento, nel baratro di una crisi senza
precedenti.
Nel mondo contemporaneo il grande accusato è la globalizzazione, con tutte le sue
implicazioni, in primis la disintegrazione dell’io e il disgregarsi delle coscienze.
Ma conviene fare qualche passo indietro, se si vuole gettare uno sguardo sulla
complessità di una situazione difficile che si trascina ormai da decenni e che pare
non voler regredire affatto.
In “Essere e tempo” (1935) Il filosofo Martin Heidegger afferma che il mondo è un
progetto e che esistere significa vivere nel progetto. Tuttavia l’uomo, “scagliato”
nel mondo, è circondato dalle cose, e i suoi rapporti con gli altri sono segnati
dalla cura.
In questo modo l’autenticità del progetto si trasforma inesorabilmente nell’anonimità,
dove tutto è reso ufficiale: il linguaggio, che dovrebbe essere autentico, si trasla,
di conseguenza, in un protocollo costruito su convenzioni. L’osservazione sul linguaggio
risulta assolutamente attuale: nel mondo contemporaneo: la parola non è l’espressione
dell’originarietà dello spirito, quanto piuttosto il veicolo di dati piatti e omogenei,
funzionali all’uso.
Il secondo nodo tematico che si palesa è costituito dal parossismo, che contrassegna il
reale, in un inestricabile groviglio di costruzione e annientamento.
L’onnivora velocità con la quale il nuovo si sviluppa, testimonia di una dimensione
tecnologica cresciuta a dismisura, nel segno di una sfida continua, manifestazione di
un’Onnipotenza (virtuale) che non segna mai il passo.
L’ossessività deriva proprio dall’impulso violento di realizzare tutto ad ogni costo,
nella cifra di un sensazionalismo ad oltranza.
La tecnologia si è sviluppata progressivamente come una aggressiva “anti-natura”:
manipolazione del codice genetico, chirurgia ad effetto, biotecnologia, microprocessori,
generazioni sempre più perfette di computer, telefoni cellulari. I-Pad, I-Phone.
Esiste ancora una corrispondenza tra l’io fisico e l’io psichico? Il soggetto è tuttora
in grado di “comprendere” il senso di ciò che incontaminato?
Se da un lato siamo assediati dall’esasperazione tecnologia, su un altro piano,
interagente, si assiste alla resa senza condizioni alla speculazione finanziaria,
alle lobby fagocitanti dei grandi magnati, alla tirannia del potere politico ed economico.
E’ lo “spazio oscuro” dentro al quale Georges Bataille ritiene che l’uomo sia intrappolato.
Sono i “simulacri”, che secondo Jean Baudrillard avviluppano la realtà contemporanea in un
universo di “simulazioni”: a domande dirette si risponde con le modalità della
selffilling prophecy, si gira cioè vorticosamente all’interno di modelli vuoti, nell’estasi
della negazione e dell’annientamento.
I frammenti che costituiscono l’universo deflagrano in schegge impazzite, che condannano
ineluttabilmente l’individuo a esistere nel dominio dell’apparenza, lo riducono a comparsa
sul palcoscenico dell’assenza, in una precarietà border line. Non solo abbiamo smarrito
l’identità; non la cerchiamo più, ingannati dall’idea surrettizia di un’eternità a portata
di mano, che si può facilmente raggiungere. E’ difficile rendersi conto che si è prigionieri
dell’illusione, che ci si sta muovendo in una palude di sentieri fangosi e che la tanto
agognata eternità è soltanto un abisso distruttivo.
Da tempo ci siamo lasciati alle spalle “anche” il post-human.
Abbiamo realizzato l’”oltrepassamento”. Fatto di una simultaneità temporale che consente
di avere tutto-insieme-subito, plasmato dall’esasperazione mediatica, che ha sostituito
la capacità narrativa con una rappresentazione lineare prevedibile. Contano solo gli
effetti speciali. Ma l’individuo ha bisogno di altro, ha la necessità di acquisire una
consapevolezza del sé che non può prescindere dalla relazione con gli altri.
Ha bisogno di libertà, non di arbitrio, di obiettivi formanti, non di vuota esteriorità.
Porsi domande cruciali sullo smarrimento, sull’inquietudine, sull’artificiosità di certe
scelte, equivale a prendere le distanze dall’omologazione del villaggio globale, e a
costruire nuovi codici etici, senza i quali non è possibile ridefinire e ricostruire l’io.
Diversamente potremo ammirare soltanto “una successione di splendori crudeli”
(Georges Bataille).
Tiziana Conti
* Il titolo delle mie riflessioni è il titolo di uno dei capitoli
dell’ “Uomo senza qualità”
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