Omaggio all’ en plein air
L’artista di per sé è un inquieto, è naturale perché è un creativo, deve
esplorare, conoscere.
La storia dell’arte, e non solo, per fortuna è costellata di “inquieti”,
di uomini e di
donne che mettono la loro esperienza, la loro ricerca personale per
andare incontro a nuove
realtà, immaginazioni.
L’artista inquieto non si accontenta dei risultati raggiunti : è sempre
stato così.
Mi pare di rivedere in tempi vicini al nostro, ma già così lontani, quel
gruppo di pittori
di Rivara, tra i quali il nostro Ernesto Bertea, assecondare “la
universale aspirazione verso
la realtà”(G.Camerana, 1872) sbozzare i loro quadri dal vero verso la
realtà…
Era una “schiera novatrice” che affrontava in modo nuovo i paesaggi,
spinti dal vento che
soffiava dalla Francia, per un’arte nata “en plein air”, fuori dalle
accademie e dagli ateliers,
dalle stanze chiuse.
Al tempo tutto questo fu come un uragano a cui si accompagnarono
consensi entusiastici e velenosi dissensi.
Molti di questi pittori ci vengono presentati come maestri, in realtà lo
furono, dirò di più “sono”
perché portarono una ventata nuova che resta nella nostra cultura.
Si rilegge Lorenzo Delleani, si scrutano i cieli di Lorenzo Bistolfi, si
indagano le pennellate ora
materiche, ora trasparenti, ora divisioniste dei nostri artisti
piemontesi inseriti in quel periodo
magico generato altrove dai Macchiaioli, dalla Scuola Grigia, da quella
di Posillipo…
Non voglio oltrepassare i confini territoriali, ma so che il nostro
discorso va ben oltre ed è vivo
nelle nostre conoscenze ed estimazioni.
Questo “dipingere all’aria aperta” ha affascinato e suggestionato
pittori professionisti e pittori
cosidetti, purtroppo a volte in modo riduttivo, “della domenica” o del
“tempo libero”.
Quell’euforia di immergersi nella natura e sotto i cieli ha prodotto
amicizia e sodalizi, ha generato
sequele di pittori che in vario modo hanno contraddistinto parte della
nostra “piccola patria”.
Alfredo Beisone, che frequenta Andrea Tavernier e Cesare Maggi, la
meteora di Ettore Giovanni May…”solitari”
come Michele Baretta o come Mario Faraoni che non disdegnano la
compagnia di gruppi torinesi e piemontesi;
Giovanni Carena che da buon maestro, negli anni cinquanta-sessanta del
secolo scorso, riesce a coagulare
attorno a sé “dilettanti” che esprimeranno il meglio del paesaggio nella
contemplazione, nella riflessione
e allo stesso tempo nella esplosione dei loro sentimenti come è
testimoniato in alcune opere della Collezione
civica pinerolese.
Il paesaggio si semplifica, si sintetizza, oggi nasce un nuovo modo di
“vedere” e di “trasmettere”:
si compone e si scompone, si illumina e si oscura negli stati d’animo
che vengono comunicati dall’artista
e offerti al pubblico.
Ancora si esce dagli schemi e si guarda più in là: una macchia, una
linea, una luce …
e si “torna a guardare le stelle” all’aria aperta.
Mario Marchiando Pacchiola |