RED 11 _THE WHITE BIRD NEVER DIE
di Maria Vittoria Berti settembre 2009 Chiesa di Santa Croce città di Cavour Primo simbolo: una croce. Secondo simbolo: casse per munizioni. Terzo simbolo: canto di uccelli. Dalla croce si sparge sangue di rossa luce e si allontana inondando l’ambiente. Prima il pavimento, carico di rosso, e poi via via sempre più aperto, il rosso, come versandosi, allarga la macchia che bagna, irrora, tinge. Si colora l’aria di quella luce di sangue. Cosa importa che siano lacrime rosse, urli rossi, dolore rosso, è tutte le cose. E’ il sangue delle ferite dell’umanità intera, che sgorga dalla violenza che non abbiamo mai imparato ad estirpare dalle nostre anime. Era un tempo il sangue di Cristo, monito fallito. E’ oggi il liquido denso di cui seminiamo le nostre terre, il nutrimento insano di cui sfamiamo i nostri figli, il fiume a cui attingiamo. Dalla croce antica dello strazio del figlio di Dio non abbiamo ancora imparato nulla, e mai impareremo, e lui che continua a morire, e morire, e morire, trascinando con sé a fatica tutta la nostra ignoranza, e la nostra imbecille sete di crudeltà. Le casse di munizioni sono pesanti. E’ legno grezzo poco curato… è il contenuto che conta. E’ il ferro che vi era all’interno il loro valore, la meccanica di precisione, l’ingegneria. Una forza esplosiva, capace di donare poteri maligni, ma pur sempre poteri, come terribili oggetti magici. Lampade di un Aladino fratello del diavolo, dalle quali perfidi giocattoli regalano onnipotenza a stupidi illusi, malamente sognatori. Pesano sulla croce e ne spremono il sangue. Minacciano i nostri corpi, rompono le nostre carni, fanno alzare intere zolle di terra in un solo scoppio, come terremoti improvvisi, come fuochi d’artificio, come vulcani. Cento, mille scoppi, e sangue a fiumi. E dolore. E potere. E rosso. Gli uccelli cantano dall’azzurro, che non è più azzurro, ma è grigio di fumi. Gli uccelli cantano, perché così fanno ogni sera, in voli liberi. Siamo sordi alla loro semplicità sottile. Abbiamo dimenticato la loro voce, che in circoli aerei si sparge sul nostro orrore, sul nostro sangue e le canne oliate dei fucili. E’ come se qualcosa separasse l’alto azzurro dal basso della terra che esplode, e lacrima e soffre. E’ come se non potessimo più raggiungere il cielo, dove ogni cosa segue natura, ed è aerea e leggera. Se solo di un poco si alzasse lo sguardo ad osservare le loro rincorse nell’ora del tramonto, vederli entrare ed uscire dal bianco delle nuvole, scomparire tra le fronde di un albero alto e ricomparire quando spiccano il volo, e si ascoltassero i cinguettii limpidi dei loro messaggi, chissà… Quel luogo alto non è più il nostro luogo, sulle nostre teste c’è vetro, e per chi ha speranza serve solo a sognare. Ambiente: una chiesa. Ci sono luoghi il cui spazio è separato dal caos della dimensione umana. Come navi nel mare in burrasca, legno calpestabile sull’acqua, che conducono lontano, e galleggiano sulle alte e nere onde degli oceani, fino a raggiungere gli approdi sognati, che ogni navigante immagina vergini, fruttiferi, rigogliosi, dall’aria limpida, la sabbia bianca, il sole tiepido. Ci sono luoghi in cui si concentrano i pensieri che vogliono superare il dolore umano e toccare l’altezza della pace e della bellezza. In quei luoghi c’è penombra, che la luce eccessiva non disturbi gli occhi, c’è silenzio, che il vociare umano non distragga il sogno. Le chiese sono come navi per gli abitanti del caos che cercano un mondo dove riposare. E’ lì che si concentrano i pensieri silenziosi sull’uomo. E’ lì che dal dolore vorremmo essere condotti alla serenità, lì che portiamo le nostre inquietudini sperando che esse siano accolte e condotte alla pace. In quei luoghi le nostre domande si fanno più forti, le contraddizioni invocano chiarezza. Non si tratta di essere più o meno religiosi, ma solo di cercare raccoglimento ed epifania. RED 11 non è dissimile da ogni lavoro di Valter Luca Signorile, che cerca sempre l’equilibrio tra il concetto e la carne, il punto possibile, se esiste, in cui la materia “corpo” e le aspirazioni della non-materia “pensiero” possano trovare un accordo. E, così facendo, altro non fa che segnare irreparabilmente la loro cesura, decretare che, nella ricerca di qualcosa, è sempre inesorabilmente insita la sua mancanza. E’ una strada senza fine la sua. Una tensione ansiosa, un’inquietudine dolorosa perché non troverà mai soluzione. E lì sta il gioco. Nei suoi lavori si mettono a nudo le contraddizioni umane. E stridono perché non raggiungono la pace di un equilibrio. Piangono. Anche questa volta, con tre simboli semplici all’interno di una chiesa, si chiede grazia al cielo degli orrori che si svolgono sulla terra. Red 11 è in realtà un pianto, una preghiera. Nasce dalla considerazione sulla scelleratezza umana e fa appello ad una possibilità alta di redenzione. E della preghiera conserva la semplicità, la fraseologia essenziale. Dalla sintesi simbolico visiva il significato sorge denso, non imbarbarito da distrazioni inutili. I tre soli elementi accostati e coinvolti in un’unica esperienza, acquisiscono così un valore forte, tragico. Il loro insieme li carica l’un l’atro di senso e lo scambio tra essi e l’ambiente si evolve in un totale canto sacro, capace di contemplare e coinvolgere chi vi partecipa, il quale da spettatore diventa a sua volta agente dell’installazione. Costui è, allora, sia colpevole in quanto facente parte dell’umanità tutta compiacente di crudeltà, che voce pregante la grazia, in quanto atterrito dall’orrore cui la sua stessa razza sa giungere. Ancora ci troviamo nella duplicità di Signorile, ancora una volta alla ricerca di qualcosa che non si riesce a raggiungere, ancora in difficile equilibrio sul punto d’attrito tra due elementi distanti, in questo caso cielo e terra, aspirazione e realtà, desiderio e constatazione, orrore e bellezza. Nel nostro tempo contemporaneo, in cui sanguinose guerre sconvolgono intere popolazioni, non era possibile tacere, non per un artista che fa della ricerca di sensi profondi il tema di ogni suo lavoro. Partendo dalla consapevolezza che l’azione, sia essa anche un pianto, non può nascondersi nel silenzio, e che anche l’arte è voce, Signorile ha costruito Red 11. Il suo personale pianto, la sua personale voce, la sua azione. Il suo modo per richiamare tutti ad un esame di coscienza. Red 11, infatti, ben si inserisce nel vero significato della forma d’arte dell’installazione, che deve essere partecipazione totale ad un’esperienza, creazione di un intero luogo capace di cambiare il rapporto tra spettatore ed artista in coinvolgimento sensibile tra essi. |
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La figura e il suo doppio di Nino Pennacchia 2007 Se potessimo per prima cosa venire introdotti nell'ipogeo, bendati, o attraverso un cunicolo segreto, ci troveremmo in modo non mediato e subitaneo nella finzione di un tempo sospeso, solo notturno, perciò qualitativamente diverso dal tempo al quale siamo abituati. L'opera che lì ci attende in qualche modo tradisce la nostra attesa di visitatori, perchè il suo freddo nitore c'interroga più profondamente di quanto non si lasci interrogare, mentre l'angoscia preme sul pensiero alla ricerca di uno sbocco. Come sempre il pasto è nudo. CIBO NUDO, titolo scelto da Valter Luca Signorile, richiama IL PASTO NUDO (THE NAKED LUNCH) di William Burroughs. Benché sia casuale, la somiglianza dei titoli non è una coincidenza superficiale, dato che Burroughs spiega così il titolo del suo romanzo: un attimo congelato quando ognuno vede cosa c'è sulla punta di ogni forchetta. Risvegliatosi dalla Malattia all'età di quarantacinque anni, lo scrittore, sia pure senza una chiara consapevolezza, aveva scritto in modo dettagliato del delirio vissuto. Il testo e la sequela di figure di non s'incrociano nei contenuti, ma nella forza iconica oscena e brutale generata dallo sconfinamento reciproco di delirio ed espressione. Le visioni di Valter Luca Signorile si offrono come diario spirituale di una malattia, dalla quale nessuno di noi può dirsi immune. I gesti ambigui dei corpi, inscenando la verità di una sessualità polimorfa, per sua natura contraria all'eterosessualità normativa, coincidono con l'invito di alcune teologhe contemporanee a esplorare territori contrari all'ordine simbolico vigente per (1) spodestare o spostare il centro, occupando tutti e tutte il posto dell'altro ossia i margini. Dandoci un'opportunità di sperimentare il movimento verso il margine, CIBO NUDO ci mette in comunicazione con gli altri a partire da quel grumo più essenziale e originario di ognuno di noi, ciò che ci fa persone tra le altre, come le altre. La sostanza cromatica della pittura evoca lo stillare di fluidi corporei come la cantò Walt Whitman esortando il suo sangue: (...) 2 dal mio petto, dall'intimo ove ero nascosto, uscite fuori stille purpuree, stille di confessione, macchiate ogni pagina, macchiate ogni canto che intono, ogni parola che dico, stille sanguigne, (...). Il gocciare di sostanza dall'artista alle sue immagini - saturatele di voi, che ne restino intrise e ontose, - deve necessariamente far leva su una specie di crudeltà; pena la mancata autenticità dell'esito finale, l'incapacità dell'opera di parlarci. Il fondo visibile, industriale, della carta indica con il sapore sgradevole dell'ingiunzione, il solo simulacro, poiché non c'è altro. Ma i simulacri sono vuoti e il nostro sguardo ritorna su noi stessi; quasi con il venir meno di buone maniere, la cava singolarità di ogni corpo rappresentato c'investe di sé. Sempre che stiamo al gioco, una leggera confusione può indurci a sentire esposta la familiarità che abbiamo con l'identità negata della vittima. Il piacere provato durante il lavoro dall'artista si è cristallizzato tanto nella bellezza degli oggetti, quanto, ironicamente, nella macabra sospensione da cui sono connotati. Come una moneta il teschio mostra una faccia, nascondendone l'altra. Parafrasando A. Danto su uno scatto di Mapplethorpe - 3 C'è della bellezza, c'è della trascendenza, ma la verità della morte viene mantenuta e non può essere soppressa. 1 Marcella Maria Althaus-Reid, Concilium n.5 - 2002, Queriniana 2 Walt Whitman, Gocciate stille da Foglie d'erba, Mondadori, 1972 3 A cura di Davide Faccioli, 100 al 2000:il secolo della fotoarte, Photology, 2000 |
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CIBO NUDO di Michele Bramante 2007 La pittura di Valter Luca Signorile è un ritorno. Nulla a che vedere con una scelta idealistica ereditata dal modernismo. L'allontanamento, che ha consentito una sperimentazione con nuovi media, era avvenuto per un'intolleranza fisica all'uso prolungato di materiali bituminosi.. La chimica carnale sostiene la sua produzione come una colonna vertebrale che assimila, con le terminazioni nervose, l'azione artistica nelle funzioni fisiologiche dell'uomo. L'origine del pudore, nella teoria evolutiva freudiana, è fatta risalire alla conquista della posizione eretta, con la quale la vergogna dell'eccitazione sessuale fa per la prima volta il suo ingresso nella coscienza dell'ominide. La conseguenza fu l'impulso al nascondimento, alla rimozione, quindi, nella società morale e religiosa, alla nevrosi. In questo modo il padre della psicanalisi narra la nascita traumatica della persona (nell'antica Grecia il termine indicava la maschera portata sulla scena dagli attori di teatro per coprire il volto). La performance pittorica di Signorile è il tentativo di recuperare l'unità dopo la scissione dell'io dovuta al senso di colpa, simbolicamente e sensualmente ottenuta lavorando chinato sulla tela stesa sul pavimento. La necessità di questa posizione, dove l'intelletto tenta di tramontare nell'animalità senza dimenticare se stesso, rende l'azione ripetitiva e rituale. L'orizzontalità è esperita anche dal visitatore. I supporti in rotoli di carta da parati occupano lo spazio espositivo distendendosi dalla verticalità della parete, come nella pittura tradizionale, fino al pavimento, costringendo lo sguardo dell'osservatore ad abbandonare per un momento la consuetudine visiva per essere stimolato alla reminiscenza di una prospettiva atavica. Lo stesso sguardo viene coinvolto quando è invitato voyeuristicamente ad una ricognizione, per mezzo di un binocolo, della figura dipinta, potendone scrutare intimamente il segno e i dettagli. I soggetti implicati, separati dallo strumento ottico e identificati nei ruoli del vedere e dell'esser visto, si avvicinano con complicità nel piacere del divertimento morboso. Questo piacere profano, centrale, secondo l'artista, nella vicenda umana , è il termine antitetico al sacro nella sintesi dialettica da cui ogni immagine scaturisce. Il corpo è il protagonista sublimato fino alla spiritualità in un'elevazione che trascina con se ogni godimento terreno. E', ad un primo livello, una macchina celibe duchampiana a funzionamento fisiologico che catalizza i vettori del consumo e restituisce lo scarto nel diagramma di flusso sociale. L'arte opera la prima catarsi offrendo una superficie sensibile dove specchiarsi e riconoscere la nevrosi macchinina che rende il corpo un ingranaggio ripetutamente affamato, saturato, reso malato e curato nel dispositivo accelerato di produzione e consumo. Di qui deriva l'uso di fluidi commestibili e di sostanze mediche di cui l'artista controlla la dispersione casuale sulla carta. Attraverso il rituale le pulsioni sono lasciate libere di esprimere la propria energia. Ogni parte del corpo inizia un movimento disarticolato, emancipato dalla ragione per volontà stessa del soggetto. La disinibizione allarga le maglie della coscienza consentendo al deposito inconscio di filtrare attraverso canali formali allentati, e di regredire fino al gesto e alla materia in un'istantanea psichica impressa nel campo dell'opera. Le carte da parati, scelte comunemente per rendere accogliente e stucchevole lo spazio personale, assorbono le secrezioni del privato, esibendo nel loro rovescio la sindone delle morbosità vissute segretamente. Il secondo termine antitetico, il sacro, anch'esso vissuto nella carne, scatena la ricerca del dolore per trasfigurare il corpo nel luogo dell'estasi. Questo è offerto al martirio e all'umiliazione; le sue parti sconnesse odorano di sacrificio e di passione feticista. Il volto è celato dal senso di colpa o dal carnefice in pratiche masochistiche, le mani nascondono erezioni e le provocano. Nel momento medianico le polarità sono conciliate fino al raggiungimento di una precaria pace androgina, al naufragio nel crogiolo informe primigenio che avvolge, come un feto, la disperazione e la speranza di rinascita nel seme della natura dissipatrice di eros e thanatos. Si potrebbero trovare convergenze tra la pratica di Signorile e gli appagamenti delle filosofie orientali. Ma è proprio la precarietà a distinguerne la ricerca dalle seconde dove il punto armonico fra gli opposti si cristallizza nella radice adamantina dell'essere. Non stupisce, quindi, ritrovare, accanto a segni di sincretismo religioso, anche simboli del culto occidentale come nell'opera RED11. Qui, nell'atmosfera più suggestiva dell'esposizione, casse di proiettili levitano su un pneuma di luce in un equilibrio minimalista, ordinandosi in una Croce della redenzione. L'accompagna un ciclo di suoni essenziali: il ronzio delle api dell'apocalisse, che non interrompe la storia dell'anima, si ricongiunge all'Om induista, la vibrazione divina primitiva da cui ha avuto origine l'universo, ad indicare che l'uomo, legato al suo destino di morte, può rinvenire in esso l'ineluttabilità della vita. |
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ALDA E LE ALTRE 2009 LEKH LEKKA'_ QARA'di Michele Bramante La stanza di Signorile è l'esperienza di attraversamento lucido di uno spazio onirico. Valter Luca Signorile tenta di regredire all’origine stessa, ineffabile, del simbolo. Come in un teatro delle crudeltà, si spoglia di tutte le significazioni e superfetazioni culturali per tornare ad una cerimonia primordiale di primi segni e feticci. E’ un tentativo – una prova, nella sua estensione pregnante che implica il sacrificio – di rinvenire gli archetipi nucleari dei miti, intorno a cui vorticano le parole dei testi sacri di ogni religione che non potranno mai nominare i veri nomi degli dei. Nella sua regressione ancestrale, la coscienza torna ad istinti che la connettono immediatamente alla natura, dove tutte le voci e i suoni sono oltremondani e mitici. In questa notte è possibile sentire e patire comandi divini, come Abramo udì l’ordine di lasciare la terra dei padri per nascere ad un nuovo destino. Lekh – “vattene” - non è che la sostanza. Qarà, in ebraico, è la voce di questa chiamata, la manifestazione della volontà divina con la stessa potenza creatrice di fato del primo Verbo; inudibile, capace di dissolvere il soggetto che sente il comandamento risuonare in un tuono insostenibile dentro di se come significato e destino della propria diaspora nella storia e di tutto quanto il cosmo, in un istante estatico in cui la voce demiurgica è luce ed il soggetto è quel cosmo rivelato. |
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BREATH 11 di Cinzia Bollino
Rossi Avrebbe anche potuto scegliere il teatro, nella sua forma più estrema, Valter Luca Signorile, tanto è l’anelito alla messinscena, alla rappresentazione. Quello che ci mostra è un corpo organico, mutante, trafitto, scalfito, sporco, ustionato, percosso, vissuto, agito, esibito, denunciato, tagliato, amato, vilipeso, ucciso, salvato. Ce lo mostra palpitante, febbricitante. Nudo. Necessaria alla messinscena è la messa a nudo, la spoliazione che diventa spogliazione; la pelle è l’unico possibile abito, è solo nella dimensione della nudità che si compie l’esperienza ancestrale e biologica del corpo. Solo nella nudità è possibile la verità. E la verità è quella, ineluttabile, della morte. Si vive per morire, si uccide per mangiare, si uccide per vivere. Non è un caso che tra le riflessioni ultime di Valter Luca ci sia anche la domanda sui traumi dell’11 settembre, sulle conseguenze della paura, del terrore, del sospetto. E la poetica della morte si incunea in questa domanda, vi infonde quell’alito chimico che prima di cancellare disfa e confonde; la morte è condizione che tutti accomuna. E la consapevolezza di questa unitarietà, il segno di questa uguaglianza nella diversità è all’origine dell’assenza di confini e di perimetri nelle opere di Signorile: che non è solo mancanza di un segno netto, di una linea di contorno in grado di contenere le forme prima che la carne e il respiro della carne abbiano la meglio; è anche e soprattutto una mancanza di argine tra le diverse forme espressive, per cui i temi e i soggetti trasmigrano dalle foto alle opere su carta, per ritrovarsi nei video e nelle installazioni. Ovunque, si parla del mistero dell’oltre, con accenti panici, sacrali, e con soluzioni figurative in cui riecheggiano sia suggestioni iconografiche cristiane, sia memorie della contemporaneità (nella serie Bare ceremony, ad esempio, i piedi trafitti ed esposti in tutta la loro verità hanno un evidente riferimento alla crocifissione, ma richiamano anche il ciclo Morgue di Andres Serrano). Così, in quelle pozze di colore amniotico ed ematico, le forme che prendono vita sono forme destinate al disfacimento; bozzoli ed embrioni che portano incisa la missione tragica e sublime dell’esistenza, a suggello della quale l’autore sovente chiama la testimonianza divina. Con un appello sordo, terribile, irato. Vibrato teso e nudo come una preghiera. O una bestemmia. |
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per Red11 di Marco Filippa 2004 Pre-scriptum [Ancora una volta l'occasione per parlare passa attra-verso un lavoro. E che altro è l'esercizio critico (???) se non l'occasione per parlare, ridondante e vacuo perseguire il proprio esternarsi anche attraverso l'estraniarsi' fors'anche un tentativo di rendersi eterni. (rifletto, penso, e continuo a riflettere in un prodigarmi speculare? vano tentativo di parlare con ? attraverso - le parole per com-prendermi prima ancora di avere com-preso? scorre nella mia mente il pensiero della Com-Passione del Dalai Lama? quanto è lontana dalle Passioni contemporanee così intrise di sangue e di imbecillità?)] Scriptum Una croce, se non fosse per appartenenza culturale, è prima di tutto un incrocio1? una verticale e un'orizzontale che s'incontrano. Inutile sostare in pensierosi ed evidenti segni di ri-conoscimento, travalichiamo, mi pare si dica in questi casi. Uno, due, tre? si potrebbe dire, che Cristo c'è ma è altro e, infatti, anche l'artista parla di altro, divaga , elabora come è giusto che sia. Il suo di-scorso è tutto interno al lavoro, al suo elaborare (elucubrare) con gli strumenti che gli sono congeniali (e infatti lo sono). RED11 è, credo, l'ultima pagina che Valter Luca Signorile ci propone; un altro segmento nel suo declinare attraverso l'arte il suo pensiero' e vale esattamente il contrario ovvero che il suo pensare è arte, non c'è alternativa. Un pensiero trasversale che incorpora la contemporaneità e prevede, per fortuna, un'evasione verso altri territori meno attuali ma non per questo meno presenti. RED11 è una specie di codice, quasi si trattasse di un elemento di un catalogo ma non possiamo fare a meno di pensare all'11 e al contempo al RED che nell'opera sospende il lavoro sulla luce e lo fa aleggiare (proprio come Gesù sulle acque) nella sua fragile, e al contempo forte, Immagine. Si tratta di un'immagine, non c'è dubbio, ma si tratta anche di un'immagine Iconoclasta e quello che appare come una contraddizione diventa subito qualcosa che scuote per la sua forza dirompente. rammento che Valter mi parla dell'idea che avrebbe voluto (e non è detto che non possa sperimentarla) che ognuno con la sua torcia (rammento Diogene) vada a cercarla e, se non si imbatte, possa trovarla, una caccia al tesoro senza vincitori, senza Milioni in questo tempo povero di ricchezze e ricco di povertà. E, chiunque sia, trovi questa Croce. Trovi le Undici scatole vuote che contenevano proiettili e possa com-prendere che sono spariti e, se non ci sono più, devono essere stati sparati e devono avere attraversato corpi, averli dilaniati, uccisi probabilmente nella loro traiettoria avere conquistato, determinato vittorie da una parte e quindi sconfitte dall'altra in un gioco (crudele e infinito) dove non ci sono né Vinti né Vincitori ma soltanto Vittime, inermi probabilmente. L'immagine (iconoclasta) è forte. Ci scuote. Turba. Innesca e travolge le nostre sensibilità. Le innerva nella sua semplicità dirompente. Ne discute gli assunti sviluppando sinergie. L'opera (installazione) ha la forza del dramma pacato e prevede la catarsi in chi sa trovarla, ma non la prevede., Post- Scriptum Valter mi informa sui numeri e sui significati esoterici della Cabala2. Rifletto ed elaboro che tutto è vero è tutto è finto (dovrei dire, falso, ma mi appare meno evidente oggi). Devo scrivere sul suo lavoro ma non posso evitare di trascendere e declinare altre verso altre vie, il lavoro stesso me lo impone, per molti versi. Insisto: Cristo in Croce (se non lo si pensa come cruciverba geometrico) continua ad essere un problema, il Problema. E. allora, che sia bestemmia piuttosto che tentativo di verità e che una fatwa o un'anatema mi crocifigga piuttosto che le religioni continuino ad insanguinare il destino del mondo allontanando la spiritualità che incardina l'uomo invece di com-prenderlo. |
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