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THE
WHITE BIRD NEVER DIES
7 > 15 NOVEMBRE 2009 Chiesa di Santa Croce città di Cavour |
Valter
Luca Signorile testo di Maria Vittoria Berti, 2009 THE WHITE BIRD NEVER DIES _ RED 11 Primo simbolo: una croce. Secondo simbolo: casse per munizioni. Terzo simbolo: canto di uccelli. Dalla croce si sparge sangue di rossa luce e si allontana inondando l’ambiente. Prima il pavimento, carico di rosso, e poi via via sempre più aperto, il rosso, come versandosi, allarga la macchia che bagna, irrora, tinge. Si colora l’aria di quella luce di sangue. Cosa importa che siano lacrime rosse, urli rossi, dolore rosso, è tutte le cose. E’ il sangue delle ferite dell’umanità intera, che sgorga dalla violenza che non abbiamo mai imparato ad estirpare dalle nostre anime. Era un tempo il sangue di Cristo, monito fallito. E’ oggi il liquido denso di cui seminiamo le nostre terre, il nutrimento insano di cui sfamiamo i nostri figli, il fiume a cui attingiamo. Dalla croce antica dello strazio del figlio di Dio non abbiamo ancora imparato nulla, e mai impareremo, e lui che continua a morire, e morire, e morire, trascinando con sé a fatica tutta la nostra ignoranza, e la nostra imbecille sete di crudeltà. Le casse di munizioni sono pesanti. E’ legno grezzo poco curato… è il contenuto che conta. E’ il ferro che vi era all’interno il loro valore, la meccanica di precisione, l’ingegneria. Una forza esplosiva, capace di donare poteri maligni, ma pur sempre poteri, come terribili oggetti magici. Lampade di un Aladino fratello del diavolo, dalle quali perfidi giocattoli regalano onnipotenza a stupidi illusi, malamente sognatori. Pesano sulla croce e ne spremono il sangue. Minacciano i nostri corpi, rompono le nostre carni, fanno alzare intere zolle di terra in un solo scoppio, come terremoti improvvisi, come fuochi d’artificio, come vulcani. Cento, mille scoppi, e sangue a fiumi. E dolore. E potere. E rosso. Gli uccelli cantano dall’azzurro, che non è più azzurro, ma è grigio di fumi. Gli uccelli cantano, perché così fanno ogni sera, in voli liberi. Siamo sordi alla loro semplicità sottile. Abbiamo dimenticato la loro voce, che in circoli aerei si sparge sul nostro orrore, sul nostro sangue e le canne oliate dei fucili. E’ come se qualcosa separasse l’alto azzurro dal basso della terra che esplode, e lacrima e soffre. E’ come se non potessimo più raggiungere il cielo, dove ogni cosa segue natura, ed è aerea e leggera. Se solo di un poco si alzasse lo sguardo ad osservare le loro rincorse nell’ora del tramonto, vederli entrare ed uscire dal bianco delle nuvole, scomparire tra le fronde di un albero alto e ricomparire quando spiccano il volo, e si ascoltassero i cinguettii limpidi dei loro messaggi, chissà… Quel luogo alto non è più il nostro luogo, sulle nostre teste c’è vetro, e per chi ha speranza serve solo a sognare. Ambiente: una chiesa. Ci sono luoghi il cui spazio è separato dal caos della dimensione umana. Come navi nel mare in burrasca, legno calpestabile sull’acqua, che conducono lontano, e galleggiano sulle alte e nere onde degli oceani, fino a raggiungere gli approdi sognati, che ogni navigante immagina vergini, fruttiferi, rigogliosi, dall’aria limpida, la sabbia bianca, il sole tiepido. Ci sono luoghi in cui si concentrano i pensieri che vogliono superare il dolore umano e toccare l’altezza della pace e della bellezza. In quei luoghi c’è penombra, che la luce eccessiva non disturbi gli occhi, c’è silenzio, che il vociare umano non distragga il sogno. Le chiese sono come navi per gli abitanti del caos che cercano un mondo dove riposare. E’ lì che si concentrano i pensieri silenziosi sull’uomo. E’ lì che dal dolore vorremmo essere condotti alla serenità, lì che portiamo le nostre inquietudini sperando che esse siano accolte e condotte alla pace. In quei luoghi le nostre domande si fanno più forti, le contraddizioni invocano chiarezza. Non si tratta di essere più o meno religiosi, ma solo di cercare raccoglimento ed epifania. THE WHITE BIRD NEVER DIES non è dissimile da ogni lavoro di Valter Luca Signorile, che cerca sempre l’equilibrio tra il concetto e la carne, il punto possibile, se esiste, in cui la materia “corpo” e le aspirazioni della non-materia “pensiero” possano trovare un accordo. E, così facendo, altro non fa che segnare irreparabilmente la loro cesura, decretare che, nella ricerca di qualcosa, è sempre inesorabilmente insita la sua mancanza. E’ una strada senza fine la sua. Una tensione ansiosa, un’inquietudine dolorosa perché non troverà mai soluzione. E lì sta il gioco. Nei suoi lavori si mettono a nudo le contraddizioni umane. E stridono perché non raggiungono la pace di un equilibrio. Piangono. Anche questa volta, con tre simboli semplici all’interno di una chiesa, si chiede grazia al cielo degli orrori che si svolgono sulla terra. Red 11 è in realtà un pianto, una preghiera. Nasce dalla considerazione sulla scelleratezza umana e fa appello ad una possibilità alta di redenzione. E della preghiera conserva la semplicità, la fraseologia essenziale. Dalla sintesi simbolico visiva il significato sorge denso, non imbarbarito da distrazioni inutili. I tre soli elementi accostati e coinvolti in un’unica esperienza, acquisiscono così un valore forte, tragico. Il loro insieme li carica l’un l’atro di senso e lo scambio tra essi e l’ambiente si evolve in un totale canto sacro, capace di contemplare e coinvolgere chi vi partecipa, il quale da spettatore diventa a sua volta agente dell’installazione. Costui è, allora, sia colpevole in quanto facente parte dell’umanità tutta compiacente di crudeltà, che voce pregante la grazia, in quanto atterrito dall’orrore cui la sua stessa razza sa giungere. Ancora ci troviamo nella duplicità di Signorile, ancora una volta alla ricerca di qualcosa che non si riesce a raggiungere, ancora in difficile equilibrio sul punto d’attrito tra due elementi distanti, in questo caso cielo e terra, aspirazione e realtà, desiderio e constatazione, orrore e bellezza. Nel nostro tempo contemporaneo, in cui sanguinose guerre sconvolgono intere popolazioni, non era possibile tacere, non per un artista che fa della ricerca di sensi profondi il tema di ogni suo lavoro. Partendo dalla consapevolezza che l’azione, sia essa anche un pianto, non può nascondersi nel silenzio, e che anche l’arte è voce, Signorile ha costruito Red 11. Il suo personale pianto, la sua personale voce, la sua azione. Il suo modo per richiamare tutti ad un esame di coscienza. Red 11, infatti, ben si inserisce nel vero significato della forma d’arte dell’installazione, che deve essere partecipazione totale ad un’esperienza, creazione di un intero luogo capace di cambiare il rapporto tra spettatore ed artista in coinvolgimento sensibile tra essi. |
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testo
di Mauro Comba testo di Michele Bramante |
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