SMETTILA DI CAMMINARMI ADDOSSO

da sabato 26 Febbraio ore 17,30 > 30 Aprile 2011

 CHARLES JEAN PAUL
MOSTRA D’ARTE CONTEMPORANEA: Smettila di camminarmi addosso

INAUGURAZIONE: Sabato 26 febbraio ore 17,30 > 30 Aprile 2011
ORARIO :sabato e festivi 15,30 > 18,30
Altri giorni su appuntamento 
Catalogo in mostra

La ricerca spasmodica dell’uomo verso il suo simile, inteso come coadiutore nella risposta mancata, è ormai ridotta 
ai minimi termini, troppi i segnali convergenti e divergenti, troppe le idiosincrasie personali che travalicano, subissano 
l’altrui istanza, in una rincorsa al miraggio che sia, soprattutto, soltanto miraggio. E’ la moderna iconografia dell’indistinto, 
che fa chiudere l’universo espressivo dell’individuo nella ridondanza degli stili, moltiplicazione degli emotional rescue per 
una emergenza sempre più ardua anche nel solo riconoscerla.

Charles Jean Paul agita ancora animosamente la lanterna di Diogene per cercare in ogni sua virgola espressiva il segno 
di quell’uomo confuso più che scomparso. Le sue figure antropomorfe, ma che è dire il suo astratto contemporaneo, 
implodono per la varietà dei richiami interni, sortite verso l’estrema ricomposizione dell’umana aspirazione a comprendere 
ed essere compresi. Le forme si accavallano nel disperato tentativo di evidenziare le stratificazioni, che come cerchi 
concentrici di un albero o curve di isoconcrezione nelle rocce, vorrebbero testimoniare un percorso, una scelta, una 
direzione anche e soprattutto quando questa è restata miseramente disattesa.

Le sommarie pennellate a larga tesa, mirate a raccogliere in qualche modo il contorno, non fanno altro che scucire la 
prospettiva e ricondurre la memoria al suo attimo precedente, una anteposizione del futuro passato, una mimica triste 
del tempo che non si riesce a fermare, inteso questo nobile sforzo come tentativo di comunicare l’ansia stessa dei secoli, 
in articulo mortis. Le pose sono asfittiche, deformate, claudicanti per interposto desiderio di assistere all’ombra indelebile 
della Bellezza impressa al suo occhio olimpico.

Il tema trattato da Charles, ovvero la sfida a dimensionare il nero come auspicata profondità delle ombre, in modo tale da 
arginare la fluttuanza iconografica dei miseri resti, lo conduce a lavorare sullo spazio come ambientazione ante-litteram, 
per decodificare la fretta da obitorio che ha confuso alluci e talloncini. E’ sempre vigile, infatti, la luce riflessa di spot fuori 
uso e fuori scena, per dare una dinamica che sia solo ottica al proscenio dei falsi pentimenti, quelli che ancora fanno 
pensare a volte al corpo umano come un contenitore di funzioni e sentimenti. E invece è bersaglio, nell’opera di 
Charles Jean Paul, sempre, anche quando la delocalizzazione dell’informale parrebbe distogliere l’arco cromatico in una 
serie di generose performances.

In Charles Jean Paul è impossibile seguire oltre il canovaccio delle opportune deduzioni, siano esse scenografiche o 
teoretiche, e diventa perfino sanamente inaffrontabile il gaudium visivo del mulinare dei simboli in una riappacificazione 
estetica, pur distintamente presente, perché lo sguardo è sempre rivolto altrove, ai documenti, al passing scaduto, al 
check-in rinviato sempre ad un attimo fa, dell’eterna partenza di uomo verso ciò che qualcuno gli ha detto, un giorno, 
essere la sua finalità cosmica. 

Connotati lisi, invalidati, ricusati dallo scanner.

http://enpleinair.it/articoli/jpc-una-fuga-impossibile/

testi di sergio gabriele

testo di Giuseppe Geuna Il Monviso 

PRESS ANNOUNCEMENT CHARLES JEAN PAUL

CONTEMPORARY ART EXIBITION: Stop walking on my back
Artist CHARLES JEAN PAUL Personal Exhibition
OPENING: Saturday 26th February 7.30 PM > 30TH April 2011
Saturdays and Sundays from 3.30 PM to 6.30 PM
Other days upon appointment
Catalogue available

Charles Jean Paul – Hidden meanings of scratched signals

Man’s spasmodic search for a fellow creature, a coadjutor in ungiven answers, is now reduced to a minimum: 
too many converging and diverging signals, too many personal idiosyncrasies trespassing and overwhelming 
others people’s demand, while we keep chasing a mirage that we expect to be above all just a mirage. It is the 
modern iconography of the indistinct that lets the expressive universe of individuals close in a redundancy of 
styles, multiplying the emotional rescues in the name of an emergency which is becoming harder and harder to 
recognize.

Charles Jean Paul is still shaking with courage Diogenes’ lantern in order to search in every single expressive 
part of it the sign of that more than extinguished, confused Man. His anthropomorphic figures, and by saying 
this we say his contemporary abstract style, are imploding with a variety of inner cross-references, gone out 
towards the extreme recomposition of the human aim to understand and being understood. The forms overlap 
in a desperate effort to point out stratifications, which, like the concentric circles of a tree or the isoconcretions 
of rocks, are meant to testify a route, a choice, a direction even and above all when it has been miserably disregarded. 

The concise, large brush work intended to gather in some way the contour, just undoes the perspective and 
brings us the memory of the previous moment, an ante position of the bygone future, a sad mimic of the time we 
cannot stop, and we consider this noble effort as the attempt to communicate the very anxiety of centuries, in 
articulo mortis. Poses are asphyctic, deformed, limping in an interposed desire to assist to the indelible shadow 
of the Beauty impressed to his Olympic eye. 

The subject treated by Charles, that is to say the challenge to dimension black as a predicted deepness of shadows, 
in order to contain the iconographic fluctuation of the miserable remains, leads him to work on space as an ante-litteram 
setting, and to decrypt the morgue hurry that has confounded halluces and identification badges.
Actually, the broken reflected spotlight is always alert and out of stage, to infuse a dynamic which is only optic in the 
front stage of false repentances and still induces us to consider human body as a box of functions and feelings. 
It is mark, instead, in Charles Jean Paul’s work, always, even when the delocalization of the informal seems to distract 
the chromatic arc in a sequence of generous performances. 

In Charles Jean Paul it is impossible to follow further the plot of opportune deduction, scenic or theoretic and even the 
visual gaudium of whirling symbols becomes healthily impossible to face, in an aesthetic reconciliation, because the 
glance is always turned elsewhere, to the documents, to the expired pass, to the check-in, always postponed to a 
minute ago, of the eternal departure of Man towards what someone told him to be, one day, his cosmic finality.
Worn out, invalidated traits, rejected by the scanner.
Sergio Gabriele 
Paolo Avigo's translation

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